giovedì 27 ottobre 2011

Contro il colpo di fulmine contemporaneo

Il tempo oggi non è più una risorsa facilmente disponibile in amore ed è un peccato.
Ad esempio a me piacciono le schermaglie amorose, i lunghi corteggiamenti, flirtare è la parte più divertente dell’amore, dopo tutti si lamenteranno delle aspettative disattese.
Sono figlio di Moonlighting, quel telefilm in cui Bruce Willis giovane e Cybil Shepard interpretavano due colleghi, tutti e due detective per una agenzia di investigazioni private.
Si prendevano in giro, litigavano e sotto c’era tensione, stavano iniziando a innamorarsi ma ci vollero un sacco di puntate, intere serie per arrivare al primo bacio.
Accadeva lo stesso anche in Northern Exposure, orrendamente tradotto in italiano come Un medico tra gli orsi, c'era la stessa tensione fra il dottore ebreo di New York e la incantevole pilota del paesino in mezzo alle montagne dell’Alaska, è quello forse il mio modello di approccio ideale.

Mi piace ascoltare quelle storie in cui I’uomo sostiene di averci messo dei mesi per far innamorare lei, assedi ora quasi incomprensibili.
Adesso sembra impossibile, la gente vuole tutto e subito, nemmeno aspetta di conoscersi, prende continuamente degli abbagli, penso che sia colpa della accelerata mobilità contemporanea di cui siamo tutti vittime.
Gente che parte, viaggiatori nomadi, tre mesi di qua, due di là, non c’è tempo per coltivare rapporti.

Il colpo di fulmine c’è sempre stato,  ma ora è diventata una necessità post-moderna più che un fatale accidente del destino.
Persone che hanno fretta di dichiararsi, che non aspettano mai il momento giusto.
Io ho avuto sempre la tendenza a procrastinare le cose, tutte le mie ex erano convinte di non piacermi o che il mio fosse un interesse tiepido, qualche ragazza  non si è accorta mai di ciò che provavo, si stupivano quando raccontavo a posteriori il mio coinvolgimento.
Non comprendevano i miei sguardi, mi chiedevano cosa intendessi dire, EPpure per me era tutto così chiaro.

lunedì 17 ottobre 2011

Contro i black bloc presunti e chi non ha il coraggio di esserlo fino in fondo


Dalle casse del camion scoperto era uscita poco prima una voce urlante sopra il sottofondo rock selezionato dal dj, la voce diceva:
Non dobbiamo solo passare un pomeriggio qui, dobbiamo campeggiare, rimanere a Roma fin quando non se ne saranno andati, fin quando non ci daranno quello che chiediamo…”
Già sapevo che tutto si sarebbe concluso entro la sera, ma non immaginavo certo come.

La gente scatta foto alle vetrine rotte di una banca, alcuni non hanno mai visto da vicino degli scontri di piazza: quando tutto sarà finito, saranno pubblicate su Facebook.
Io non mi sono impaurito neanche un po’, sono rimasto sempre in zona di sicurezza, dietro le prime file dove si ammassano i curiosi.
Non ho portato la macchina fotografica, non sono un giornalista interessato alla cronaca degli eventi minuto per minuto, mi interessano più le facce.
I black bloc sono categorie create per fingere di capire il mondo, di solito ne parlano i servizi dei telegiornali che devono comunicare all’enorme provincia dei quasi informati.
Fra i presunti black bloc vedo molti diciottenni, alcuni gridano nel gergo romano del tifoso ultras, lo stesso delle radio che discutono del derby.
Questi ragazzotti che giocano alla guerra cercando di studiare le prossime mosse o applaudendo vigliaccamente mentre brucia una camionetta della polizia, assisteranno alla sfida del giorno dopo  con lo stesso spirito.
Hanno giubbotti scuri e date di nascita incompatibili con i loro slogan, sono imitazioni sbiadite di imitazioni grossolane.
I miei coetanei impegnati nell’antagonismo già erano fuori tempo massimo, ora fanno i maestri elementari, a volte per sentirsi meno in colpa fondano delle fanzine politiche, frequentano con sempre meno assiduità i centri sociali in cui andavano dieci anni fa.
In una strada qualunque alle spalle di San Giovanni, signori di cinquanta e sessant’anni dall’aria smarrita mi chiedono dove si prende la metro, hanno dimenticato come si manifesta o sono soltanto indeboliti dall’età.
Vanno facilmente nel panico, si addossano ai muri dei palazzi, non vedono l’ora di tornare a casa a guardare le loro tv, che li spaventano e li attraggono a giorni alterni.
Il camion dei Cobas in mezzo agli scontri è la rappresentazione plastica della sconfitta dei movimentisti teorici.
Una voce femminile al microfono, dal tono probabile quarantenne spettatrice fedele di Raitre, continua a dire di restare dietro al  camion, assicura che lo stesso riuscirà presto ad avanzare fino al centro della piazza.
Tutte le voci in piazza non hanno volto, mi sembra una cosa inquietante e dai cattivi presagi.
Mentre nelle prime file se le danno di santa ragione, il camion comincia ad indietreggiare, la voce al microfono sostiene che è una manovra per trovare un varco.
Non ci credo, malgrado le parole blandamente guerresche, il camion è in preda al panico come i cinquantenni con barbe e brutti giubbotti fuori moda.
Molti si lamentano con la polizia perché non li tutela abbastanza, segretamente vorrebbero che separassero il male dal bene con qualche colpo ben assestato di manganello; nessuno dei mille movimenti ha organizzato un minimo servizio d’ordine.
Gli indignati che minacciavano con parole di fuoco sugli status di Facebook non hanno il coraggio di sgridare i cattivi ragazzi che stanno facendo barricate molto temporanee e torneranno per cena nelle loro camerette.
Il corteo viene spezzato in più punti, la gente si disperde, le persone arrivano alla spicciolata al Circo Massimo, senza ben sapere come proseguire.
Ci ritroviamo un po’ di amici e conoscenti, abbiamo idee forse diverse ma estrazione più o meno simile: siamo osservatori, partecipanti convinti o tiepidi, tutti ragionevoli condannatori della violenza, in questo identici alle voci ufficiali di ogni schieramento.
Andiamo a mangiare in una mega trattoria quasi industriale di gran moda fra i turisti piccolo borghesi in vacanza a Roma, nella sala una televisione è sintonizzata sul Tg5, mandano a ripetizione le immagini degli scontri, l’audio è muto.
La stessa Mercedes brucia per ben tre volte, ripresa da diverse angolazioni con differenti qualità video.
Di fianco a noi c'è una coppia di cinquantenni argentini, riconosco l’accento immediatamente, hanno passato il giorno visitando la parte di Roma non toccata dagli scontri e non si sono accorti di nulla.
Restano stupiti dalle immagini, le guardano cercando di capirci qualcosa, pensavano fossero prerogativa del Sud America, mangiano una margherita in due.
Entriamo in contatto solo quando stanno per andarsene, sono simpatici e innamorati.
Spiego in modo molto approssimativo le ragioni della protesta,  solo in parte comprensibili, solo in parte condivisibili: il debito, le banche, il sistema economico, sintetizzo senza convinzione.
È una protesta contro il sistema quindi, mi dicono, noi ne sappiamo qualcosa.
Cito la frase que se vajan todos, qualcuno l‘ha scritta con lo spray sopra un palazzo in centro,  era lo slogan preferito dai  manifestanti quando il loro paese stava fallendo negli anni ’90, rimangono stupiti dalla mia conoscenza del loro recente passato.
Ci salutano e tornano ai loro giorni di vacanza con ridotto potere d’acquisto
Torno a casa con un autobus notturno dopo aver bevuto vino, birra e rum; abbiamo presto cambiato discorso, in fin dei conti non c’era molto da commentare, avevamo già sviscerato le dinamiche dell’accaduto come investigatori dilettanti che non avranno mai tutti i dati a loro disposizione.
Sull’autobus ci sono ragazzi in uscita di intrattenimento e reduci della manifestazione giunti da fuori Roma.
Toscani che commentano con evidente compiacimento le fasi salienti degli scontri, hanno facce da bravi ragazzi, so che non prenderebbero mai un'arma contundente in mano, eppure la loro tranquilla soddisfazione per essere comparse dell’evento mi inquieta.
 A casa vedo il video dell’aggressione a Marco Pannella da parte di alcuni militanti della manifestazione: giovani, vecchi, di mezz'età, nessun black bloc.
Guardo bene le facce delle persone indignate che lo insultano rifiutando di discuterci, avranno scosso la testa guardando i cattivi ragazzi spaccare le vetrine, si saranno rammaricati perchè tutta la brava gente pacifica come loro è stata infangata da pochi facinorosi.
Si credono dei ben informati, sono lettori indefessi di giornali, spettatori semi compulsivi di approfondimenti politici.

Se la saranno presa con tutte le mele marce, senza muovere un dito.
Ne parleranno dopo a casa, a cose fatte, davanti ai loro terminali remoti.





mercoledì 12 ottobre 2011

Contro le vertigini


Una volta avevo paura delle vertigini, ora mi è passata ed è sicuramente un bene.
Me ne sono accorto domenica pomeriggio mentre mi trovavo a settanta metri di altezza con le gambe nel vuoto, su una giostra di un parco giochi fuori Roma.
Affianco a me non c’era nessuno, eccetto due inquietanti strisce giallo-nere che segnalavano posti non utilizzabili per segrete ragioni di sicurezza.
La giostra ti porta alla sommità delle torre e poi ti lascia andare all’improvviso alla velocità con cui un corpo cade, secondo le leggi della crudele gravità.
E’ la gravita che ci fa stare sempre così costantemente a terra, in ogni senso, sopratutto spirituale.
Per questo gli astronauti sono sereni solo nello spazio e soffrono di nostalgia siderale quando tornano sulla terra.
Quando cadi per tre secondi hai lo stomaco in bocca, gli organi interni si spostano e il cuore finisce da qualche parte nel palato, ma in qualche modo sei felice.
Non sai bene cosa sta succedendo, non senti più passato e futuro.
Sei nel presente, mediti giocando o giochi meditando: è la stessa cosa.
La prima cosa che ci ha detto il maestro di scherma è qui per due ore e mezzo tornate bambini, mettetevi a giocare, siate liberi.

Nelle ore di educazione fisica al liceo giocavamo a pallone perché la palestra era in perenne costruzione, e i professori erano quasi sempre dei farabutti pigri e non avevano alcun desiderio di utilizzare il loro burocratico diploma ISEF.
Un anno un professore appena più decente provò a insegnarci i fondamenti dell’atletica, era un decatleta dilettante, ma si dovette scontrare con la nostra abitudine al calcetto da asfalto; lo detestavamo come se fosse un pericoloso fanatico.
Alcuni si fecero addirittura firmare dai genitori certificati di indisposizione a tempo indeterminato per evitare di dover frequentare le sue lezioni, chi lo sosteneva fu considerato un pericoloso traditore o un abile adulatore.
Non c’era alcunché da adulare, il voto di educazione fisica non contava nulla.
Da allora ho iniziato a coltivare la mia ingiustificata diffidenza verso gli esercizi aerobici, lo stretching o i circuiti di allenamento.
Ora invece corro e con una specie di soddisfazione alzo ed abbasso le braccia o salto con un piede solo dentro dei cerchi colorati, rimpiango gli anni in cui mi sono comportato male con il mio corpo compiacendo la mente.
Nell’unico momento di pausa della lezione di schermo mi sono andato ad abbeverare nel bagno piastrellato di azzurro stinto aprendo il rubinetto rosso da cui esce solo e unicamente acqua fredda.
Mi ha ricordato gli intervalli scolastici.
Sono in una palestra e sto facendo scherma, non ricordo più il motivo esatto per cui ho deciso di provare.
Da bambino avevo pensato di farla qualche volta, poi me ne ero dimenticato per anni, una volta a Milano avevo comprato  un manuale di schema degli anni '50 : tecniche obsolete, vecchi modi di andare all’assalto o di affondare.
Non l’ho mai letto, mi piacevano le figure stilizzate e la copertina verde.
Forse ho rivisto il libro per caso sul mio armadio, più probabilmente ho visto qualcosa che mi ha ricordato spade e sciabole, ora sono qui e cerco l’equilibrio con un fioretto in mano.
Trovare il baricentro è fondamentale: equilibrio in guardia, equilibrio dinamico, la prima lezione di scherma mi ricorda la prima lezione di tango, anche lì ti facevano chiudere gli occhi.
Anche il passo avanti ricorda quello del tango, devi stare sempre basso con la testa, con il busto eretto, scivolare sul pavimento, nel tango ti trascini con l’altro piede, qui lo alzi appena.
In tutti e due i casi la postura deve essere elegante, preferisco la scherma perché resterà sempre di nicchia.
Un po’ ricorda il tango, un po’ il pugilato, coordinazione e riflessi sono fondamentali, sono sempre stati i miei punti deboli, ma forse dipende dal mio modo di reagire al mondo.
Negli esercizi in cui sono solo davanti allo specchio vado bene, il passo è più o meno giusto, il tallone di dietro quasi sempre allineato, faccio quasi tutto nel modo corretto ma appena ho un bersaglio da colpire o un partner con cui dialogare, mi confondo.
Forse non sono abbastanza reattivo perché mi preoccupo troppo degli altri, dei loro pensieri, delle loro percezioni.
Dovrei centrarmi in me stesso, a pensarci bene non è così diverso nella mia vita.
Anche la meditazione è più o meno simile.
Un altro dei problemi che tutti notano è la mia contrazione.
Mi dicono che sono contratto gli istruttori in palestra, i medici, la estranee; sono teso sul collo, sul busto, non mi sciolgo.
Lo nota anche il mio maestro di scherma, stai rilassato mi dice.
Il problema è esistenziale, mi verrebbe da rispondergli, ma sarebbe una cosa senza senso.
A volte sento che sono sul punto di sciogliermi: per una piccola cosa, per un grande cosa, per un dettaglio, per un attimo.
Il giorno in cui mi scioglierò pienamente sarà come cadere nel vuoto.

venerdì 7 ottobre 2011

Contro la razionalità (sugli oroscopi)


Ero a Istanbul, la amica della mia ospite aveva occhi tondi e bellissimi, belle tette e i denti in disordine.
Eravamo in taxi diretti verso il Bosforo per imbarcarci su un traghetto, ci eravamo conosciuti da due minuti e la ragazza come seconda domanda non mi chiese cosa fai nella vita?
Quando me lo chiedono mi annoio, ogni tanto sarebbe divertente fingersi qualcun altro, un ingegnere edile, un microbiologo, un fisico nucleare, sorprendersi.
Se racconto che faccio il regista e mi metto a parlare dei miei progetti di documentari finisco al centro dell’attenzione, non riesco a trattenermi dal renderli interessanti; mi fanno un sacco di domande, rispondo come posso, dopo un po’ ho voglia di cambiare argomento.
La ragazza non mi fece domande, mi guardò un attimo e mi disse tu sei Pesci.
Le chiesi come aveva fatto a intuirlo.
Mi diede una bella risposta: hai lo sguardo come il mio ed io sono un Pesci.
Sapeva riconoscere i suoi simili.
La ragazza leggeva i fondi del caffè e Osho, si commosse davanti ai dervisci che danzavano ed aveva lo sguardo malinconico.
Altre poche ore e mi sarei innamorato.
Dipendeva dai pianeti penso, appena tornato da Istanbul incontrai M.
Sono convinto che uno si innamora quando è vulnerabile, diventi più ricettivo, non è molto diverso dal prendersi una influenza.
M., dopo avermi lasciato, mi disse per telefono che era troppo vulnerabile quando mi aveva conosciuto, come fosse stato un imperdonabile errore.
Incontrai M. in giugno, avevo superato in febbraio Saturno contro, iniziavo ad avere Giove dalla mia parte e Venere in splendido aspetto.
L’oroscopo prevedeva due anni buoni, di cambiamenti grandi e positivi, da tempo ho smesso di crederci.
Allora ascoltavo ogni giorno l’oroscopo di Paolo Fox on line, 
S. era stata la prima ad avvicinarmi al mondo dell’astrologia, mi aveva perfino stilato il tema astrale.
Gli oroscopi giornalieri non sono affatto affidabili, ci vorrebbe un astrologo che ti fa complicati calcoli personalizzati ma quello di Paolo Fox pur nella sua approssimazione era meglio di niente.
Paolo Fox è un tipo preciso e spiega in pochi cenni la posizione dei pianeti, cosa che altri non ti dicono mai, tratta la gente con un minimo di rispetto.
Ovviamente per M. i segni zodiacali e gli oroscopi non avevano alcun senso, era cocciutamente razionale.
Prendeva in giro la mia ex per queste manie ed a volte anche io facevo qualche battuta, una delle cose che riescono meglio agli amanti è demolire i propri ex reciprocamente, è un operazione insensata e cattiva di cui ci si vergognerà in seguito.
S. mi aveva anche parlato con entusiasmo di Rob Breszny, un ex hippie dal passato da poeta che si era perfettamente riciclato come scrittore di oroscopi pubblicati in mezzo mondo.
Mi convinse anche a contattarlo, visto che eravamo in viaggio a San Francisco, per intervistarlo, all’epoca ancora proponevo articoli alle riviste.
Incontrammo Rob a San Francisco e lui mi parlò della sua filosofia di vita super positiva e ottimista.
Per lui tutto andava bene, tutto doveva essere visto nell’ottica dell’energia, aveva appena scritto un libro su questo.
Era l’opposto di me che mi vantavo già all’epoca di essere critico ed apocalittico.
Di astrologia non ne parlammo per niente, ebbi la sensazione che fosse stato il suo pretesto per campare decentemente.
Era da tempo che non ascoltavo gli oroscopi.
Gli oroscopi, anche se ben congegnati come quelli di Fox, hanno sempre un grosso difetto, sono conformisti e legati alla cultura dominante.
Così danno troppa enfasi a soldi e lavoro, quando parlano dell’amore, raccontano di relazioni forti, di legami deboli o avventure, sono basati sugli schemi ricorrenti degli incontri contemporanei.
Se poi sono oroscopi da riviste femminili, sono anche peggio, usano le stesse categorie di fiction tremende come Sex and the City.
In queste fiction ci sono sempre trucchi, segreti e tattiche da rispettare, la seduzione si basa su regole da programmazione neuro linguistica, a volte mi rendo conto anche io di stare giocando a decriptare i segni, inutile semiotica che non ti porta da nessuna parte.
Le parole e i minimi movimenti mi restano in mente per intere mezze giornate; ci sono frasi, espressioni del viso e gesti che sono nella mia testa da mesi, tornano quando meno te l’aspetti.
In questi momenti finisco per odiare il mio cervello e la mia stramba memoria.
Forse per questo oggi ho ripreso ad ascoltare l’oroscopo, almeno mi dà qualche indicazione sui transiti lunari, so che non ne verrà nulla né di buono né di cattivo.

martedì 4 ottobre 2011

Contro la domenica pomeriggio


L’universo trasformato in pomeriggio domenicale: è la definizione della noia- e la fine dell’universo.
Lo scrive Cioran, io l’ho sempre pensato ma d’altronde spesso mi capita di leggere parole che avrei voluto scrivere io.
Una volta non era così, c’erano scrittori che mi insegnavano qualcosa di completamente inedito ed opposto da me, ma ora è più difficile imparare dai libri.
È molto più facile farlo direttamente dalla vita.
La pigrizia per Cioran è una miracolosa sopravvivenza del paradiso, io ho sempre combattuto contro la mia pigrizia, non l’ho mai accettata come un dono, ho sempre provato a forzarla, in mille stupidi modi.
Con S. litigavamo la domenica pomeriggio.
Lei era sempre troppo stanca per seguire i miei propositi di gite fuori, di visioni cinematografiche o di impegni vari.
A volte mi rifugiavo nel calcio, è sempre stato un buon palliativo per la noia ma anche il calcio è cambiato, spesso la mia squadra non giocava la domenica pomeriggio e in ogni caso quando non si è più bambini il calcio smette di essere un impegno totalizzante, ne puoi fare tranquillamente a meno, se non lo fai è solo per dimenticarti di qualcosa.
M., invece, mi aveva illuso di essere del tipo attivo, intraprendente, ma era contraddittoria.
Quando arrivai in Argentina capii che aveva bisogno di dormire tanto, 9 ore quasi non le bastavano, mentre la sua praticità era limitata ad ambizioni mal dirette.
Si dava dei compiti e li eseguiva.
Per Cioran gli sfaccendati afferrano molte più cose e molto più in profondità degli affaccendati.
Soffriva il freddo, aveva bisogno di coperte e di chiudersi in casa quando c’erano minacce di pioggia, le avevo raccontato il mio problema con le domeniche pomeriggio in modo scherzoso e avevo fatto in modo che non diventasse una questione di cui discutere.
Mi diceva che non si annoiava mai ma sono certo che mentisse, l’ho sorpresa troppe volte con un’aria assente e disgustata di sé.
Cioran dice che chi non conosce la noia si trova ancora nell’infanzia del mondo, quando le epoche erano di là da venire.
La noia è  l’eco in noi del tempo che si lacera, la rivelazione del vuoto, l’esaurirsi di quel delirio che sostiene - o inventa – la vita..
E dice anche che l’unico modo per sopravvivere alle domeniche pomeriggio è il sesso.
Così può succedere che se ti trovi solo una domenica pomeriggio e non hai altre risorse, finisci a vedere dei filmati pornografici su Internet.
Da quando ognuno può registrarsi i propri amplessi con una camera digitale economica o un telefonino, il porno ha una connotazione completamente diversa.
Il porno professionale era fantasesso.
Dimensioni straordinarie dei peni, donne abituate a tutto, montaggio che permetteva di realizzare accoppiamenti di estrema difficoltà.
In doppiaggio audio gemiti, sospiri e parole che non venivano dette in video, un’intera colonna audio chiaramente esagerata e impensabile nei rapporti sessuali umani.
Il porno era un’esperienza eccessiva, serviva per erezioni completamente diverse da quelle che si raggiungono con il sesso reale.
Erezioni iper reali.
Per questo forse non ho mai visto tanti film, quel tipo di erezioni mi ha sempre interessato poco.
Le immagini amatoriali sono tutta un’altra cosa.
Mi riferisco alle immagini amatoriali vere, quelle sgranate  e grammaticalmente scorrette di individui e coppie da ogni parte del mondo.
Ovviamente bisogna saperle distinguere dalle immagini amatoriali false.
Il mondo del porno professionale non si è arreso ai cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie e ha cercato di seguire le nuove tendenze, di imitare il porno amatoriale; sono nati filmati amateur ricreati ad arte, finte casalinghe e camionisti, finte telecamere nascoste piazzate in motel e in case di campagna.
Oppure hanno cercato di utilizzare le naturali ansie esibizionistiche degli esseri umani, ingaggiando direttamente uomini e donne normali e trasformandoli in improvvisati attori dalle carriere anonime e fulminee.
Nelle immagini amatoriali vere ci sono piani sequenza, durate reali e verosimili, posizioni semplici che non richiedono addominali scolpiti o capacità contorsionistiche.
Ci sono soprattutto sguardi e godimenti autentici, i primi piani sono emozionanti, dentro c’e perfino dell’amore, nel senso peggiore del termine ma sempre amore è.
Amore, egoismo, disperazione, l’intera gamma dei sentimenti presenti nelle relazioni umane, tolti gli aspetti asettici del porno appare la realtà, impura e inquietante.
È domenica pomeriggio e sto vedendo uno di questi frammenti di esistente recuperabili con estrema facilità, il titolo era latina fucking nice and tight.
Ma il titolo era stato messo dopo da qualcuno che aveva selezionato il video, l’avevo cercato digitando sul motore di ricerca della piattaforma porno “ latina amatuer”.
In video appare una ragazza sudamericana, è in primo piano largo.
Con i capelli neri, bella senza essere vistosa, ha un reggiseno rosa chiaro, il tipo dietro la camera chiede alla ragazza di girarsi, lei si gira ed ha un bellissimo culo tondo.
Il tipo dice redondito, in spagnolo significa tondetto.
Lei si rigira, sorride, pensa che il tipo sia un po’ folle, forse sorride alla sua immaturità di riprenderla ma sta al gioco.
Ha uno sguardo accondiscendente e compiaciuto, è contenta di ricevere dei complimenti,  sembra felice, il tipo dietro la camera non si vede, immagino che siano due persone innamorate, lei ha poco meno di trent’anni.
Il video va a scatti, colpa della connessione, non posso andare avanti e indietro impietosamente come si faceva con i porno quando si voleva decidere la scena giusta da vedere, quando si saltavano certe posizioni per osservarne altre, in modo neutralmente tecnico.
Qui posso solo aspettare che la ragazza faccia la prossima mossa, l’attesa mi rende frenetico e non c’entra niente la masturbazione, qui si tratta di ben altro, qui c’è vita.
Il filmato riprende ed a questo punto la tipa si toglie il reggiseno come fa la tua ragazza, qualsiasi ragazza, si toglie un indumento.
Non c’è nessun ammiccamento, nessun tentativo di spogliarello maldestro.
La ragazza si toglie semplicemente il reggiseno, senza aggettivo, e rimane  lì con due tette ben fatte e piccole, il tipo le tocca il seno e il capezzolo ma leggermente, come sorpreso, esitante; dice che è spettacolare ma lo pronuncia come potrebbe fare un uomo innamorato e voglioso qualsiasi, senza nessuna manifestazione di libidine sproporzionata, nessuna enfasi recitativa.
La ragazza guarda davanti a sé, dell’uomo vede solo il dorso della mano, quindi lei si abbassa e anche la camera panoramica verso il basso, tremolando.
La ragazza prende in bocca il cazzo del tipo, qui potrebbe esserci qualcosa di squallido ma invece non accade niente, nessuno dice niente, non ci sono parole sprecate dai due.
Lei inizia a leccarlo e lo fa con gradualità, come se ci fosse tutto il tempo del mondo.
Nessuna frenesia tipica dei porno professionali, nessun movimento eccessivo della mascella, nessuna accelerazione non richiesta, nessun sforzo agonistico, i porno di solito sono contraddistinti da sudore, urla e grida.

Dopo il pompino la ragazza viene presa alla missionaria, nessuna prepotenza,  un semplice amplesso che osservo come lo guardava il protagonista di Strange Days quando si faceva iniettare un chip nella pelle per rivivere quando faceva l’amore con la sua ex ragazza.
Era un drogato e quelle chip lo escludevano dal presente e dal mondo, penso che chiunque può fare lo stesso anche se quei chip nessuno li ha ancora inventati.
Basta sostituire alcune cose che non tornano, basta utilizzare i dettagli che servono, basta scegliere una ragazza che parla una determinata lingua, con una certa pettinatura, o un fisico che può ricordare la tua ossessione.

Basta che non ci siano troppe parole o voci a distrarti, basta che il tipo sia discreto come questo che non commenta l’atto ma si muove soltanto, come gli uomini fanno da sempre su una donna da quando il mondo è mondo.
L’inquadratura è stretta, non ci sono ambientazioni particolari, sotto i due corpi ci sono delle lenzuola gialle, se ne vede solo un lembo, a tratti.
Così continua per un po’, sempre uguale, senza grandi variazioni, come una ninna nanna che serve a dimenticare, il sesso o qualsiasi surrogato dello stesso in fondo ha questa funzione.
Però purtroppo il tipo ha deciso che la situazione debba evolversi, non si accontenta della realtà e vuole modificarla o reinterpreatarla, solita stupida presunzione umana.
Si alza dal letto, sposta la camera che teneva in mano senza far attenzione al fuoco o al quadro, la mette ai piedi del letto, trova il nuovo punto di vista con estrema facilità, con troppa facilità.
La camera ora riprende tutto il letto, un territorio ostile, impersonale, perdo il contatto emozionale.
Pensavo di vivere per procura ed invece sto guardando qualcosa che scorre senza che ci possa fare niente: un film, solo un altro film.

Avevo immaginato una coppia innamorata ma il corpo del tizio non è quello di un ragazzo innamorato, ha più di quarant’anni e per i miei canoni ha troppa pancia e troppi peli per stare davvero con la ragazza.
Lei ora sembra maliziosa, ha perso la naturalezza, lui la aiuta a voltarsi di schiena, lei dice qualcosa, lui sorride ghignando e la prende a quattro zampe.

Immagino che lei sia una puttana, che lui abbia pagato o che ci sia un regista da qualche parte che abbia pagato entrambi; i dettagli della stanza, la luce sul comodino spenta, le pareti bianche, la testiera del letto, spiccano quanto il loro amplesso.
Ora è un semplice porno, lei non è la ragazza di prima con il reggiseno rosa, se non è un attrice è come se lo fosse, sta cercando di dimostrare qualcosa, non so cosa.
Spera di aumentare le sue visualizzazioni, di ricevere un voto alto, un’alta percentuale di gradimento.
Fa di tutto per eccitarmi e ci riesce ovviamente perché sono giustamente un animale come il tipo che la sta scopando, come voi, come i dj di radio Maria e lei è intollerabilmente desiderabile e il tipo non se la merita.
Mi masturbo ma senza nessuna immedesimazione, senza nessuna partecipazione, e forse è meglio così.

lunedì 3 ottobre 2011

Contro Baricco e la grande scrittura (Remix)


Da bambino ero timido e asociale.
Non volevo andare all’asilo, mi davo malato quasi sempre, restavo con mia madre in cucina ad ascoltare i giornali radio che sembravano venire direttamente degli anni ’60 forse perché gli effetti sonori Rai non erano cambiati o perché uscivano da un radione enorme e obsoleto.
Mia madre preparava quasi sempre dolci: biscotti, il tiramisù, ancora non di moda come oggi.
A volte muovevo le mani davanti a qualche finestra, non avevo un amico immaginario, era un modo per spiegarmi meglio le cose, ogni tanto lo faccio ancora di nascosto ma è un segreto da non rivelare.
Cresciuto, la mia timidezza si è trasformata in qualcosa da controllare, sono diventato sempre più capace socialmente ma è stata una conquista progressiva.
All’università ero ancora uno studente spaurito, mi innamorai di una mia amica e non ebbi mai il coraggio di dirglielo, ero convinto che si capisse, mi ero illuso di essere trasparente ma ero così gelidamente inespresso che ovviamente non se ne accorse.
Anni dopo la mia amica mi disse che mi sottraevo agli abbracci, ora provo a recuperare ma sono goffo, non ho mai imparato l’estetica dell’abbraccio, penso che sia troppo tardi per apprenderla.
Sono diventato estroverso frequentando ragazze più giovani e introverse.
D’un tratto ero divenuto talmente ciarliero che la gente pensava mentissi quando mi affibbiavo da solo l’aggettivo timido.

Iniziai a definirmi ex timido, dicevo che della timidezza avevo ancora segni e cicatrici, come tutti i timidi sono diventato monologante, mia forma di autodifesa.
Monologante, solare, estroverso, faccio battute, mi piace far ridere le persone, soprattutto le ragazze, e dopo un attimo cerco di capire quanto c’e di egoistico nella mia azione.
Parlo di argomenti vari, dico stupidaggini eppure riesco a farle sembrare appetibili e originali, posso fingere di conoscere le cose, ho imparato come stare al mondo, la cosa a volte mi deprime.

Claudio mi dice che bisognerebbe parlare dell’uomo, che gli scrittori contemporanei non hanno coraggio e si rifugiano nel minimalismo. Sono diaristici, intimisti, anche io lo sono a volte.
Non apprezzerebbe questo brano.

Non è più tempo di scrittori come Dostojevski, chi prova a raccontare l’uomo fallisce, non può altro che fallire.
Non si può scrivere fra un messaggio di Facebook e una richiesta di commento veloce sulle questioni in corso.
I grandi scrittori del passato se ne fregavano della piccola attualità.
Non andavano al cinema, potevano farne tranquillamente meno, al limite andavano a vedere qualche spettacolo di rivista per passare del tempo senza pensare a nulla.
Chi si dà un tono oggi è quasi sempre un trombone da cui conviene diffidare, gli scrittori quando raggiungono un certo grado di notorietà di nicchia, iniziano a scambiarsi messaggi cifrati su assurde riviste ambiziose che nessuno legge.
Credo nelle persone che iniziano da dove possono cominciare.
E si può cominciare soltanto da piccole cose.

Ad esempio non bisogna mai innamorarsi delle parole, è questo il motivo per cui storpio le parole e faccio continuamente refusi quando scrivo.
Se uno si innamora di una parola inizia a diventare uno scrittore falso, uno tipo Baricco.
Baricco mi piaceva quando aveva 18 anni, era bravo a venderti i suoi scrittori preferiti che sarebbero diventati anche i miei, gli devo molto, mi ha fatto conoscere Celine, Hamsun, Carver.
Ero giovane e  lui aveva buoni gusti, peccato che non aveva nulla da dire, nessun fuoco dentro.
Scriveva intere pagine con una sola parola e un punto alla fine e fregava tutti, Oceano Mare e poi quella tremenda boiata del Pianista sull’Oceano.
Letteratura, solo letteratura, nemmeno un granello di vita.
Il suo primo libro lo rilessi anni dopo, era tutto trucchetti e tecniche, raccontava storie che non gli appartenevano nemmeno un po’.