Stiamo uscendo dal
mercato.
Un signore con i baffi e
i capelli ugualmente bianchi si rivolge a Karolina in polacco.
Chiede se sappia dirgli
cosa c’è scritto sul paio di jeans che intende comprare.
E’ una parola che gli
suona inglese e lei probabilmente conosce l’inglese in quanto giovane.
E’ interessato alle
scritte che ci si porta addosso, non come quei giovani idioti che si mettono qualsiasi
marchio sul petto senza rendersi conto di diventare macchiette viventi.
Karolina gli dice con un
sorriso che è inutile preoccuparsi troppo della nazionalità della scritta visto
che è tutto prodotto in Cina, il signore risponde che non è d’accordo e cortesemente
le fa notare che non tutto sarà cinese per sempre, anzi che le cose stanno già cambiando.
Stanotte hanno fatto un accordo, non ha sentito
signorina?, continua, russi e americani sa, hanno fatto un
accordo e da domani le cose cambieranno.
Non so niente dice Karolina, non vedo la televisione,
non leggo i giornali.
Fa male signorina, fa molto male, dice il signore.
Stiamo camminando per
strade larghe e assolate e non sappiamo nulla dell’accordo fra russi e americani.
Mi piace pensare che
domattina ci sveglieremo e qualcuno ci comunicherà la notizia in un modo
qualsiasi, magari gridandolo al megafono,
sarebbe semplice se ci fossero accordi chiari a delineare un prima ed un
dopo ed invece i giornali sono solo approssimazioni continue che non portano da
nessuna parte.
Varsavia è bella,
non è vero che l’architettura
sovietica sia brutta, i palazzi non sono nemmeno palazzoni, sono più larghi che
alti, non sono tutti grigi come mi dicevano quando ero bambino e guardavo le
previsioni del tempo per le capitali della città dell’Est.
Negli anni ‘60 e ‘70 Varsavia
poi era piena di neon , Varsavia era la città dei neon, ce n’erano di tutti i tipi:
viola, rossi, lampeggianti, sono stati smantellati impietosamente dopo il 1989,
qualcuno ha pensato che fossero eccessivi, l’hanno sostituiti con insegne neutre
dall’aria falsamente contemporanea.
Varsavia è diversa perché
è ferita molto più di ogni altro posto che abbia mai visto.
Durante la Seconda Guerra
Mondiale sono morti milioni di persone e sono stati distrutti l’85 per cento
dei palazzi, è stata la città più
distrutta.
Sui nostri quartieri sono
cadute pochissime bombe in confronto e la memoria scorre senza tracce visibili
se non nei monologhi civili e progressisti di certi attori.
I discendenti dei
sopravvissuti mangiano e bevono a San Lorenzo a Roma o sui Navigli a Milano,
posti buoni per pizzerie, bisteccherie e localini che cambiano ogni dieci anni
arredo e proprietario.
Hanno subito tante
stratificazioni che il ricordo della guerra è pura immaginazione o delirio, il bar all’angolo con il
bancone di metallo negli anni ‘90 era un pub di legno ed irlandese, negli anni
’80 paninoteca con quadri colorati alle pareti, e prima ancora bar con specchi
opachi o trattoria speranzosa ai tempi della ricostruzione.
Varsavia è stata rasa al
suolo durante la guerra perchè la città si era doppiamente ribellata ai
nazisti.
Prima si erano ribellati
gli ebrei trucidati nel ghetto e dopo l’intera città per dimostrare che poteva
liberarsi da sola senza il bisogno delle truppe sovietiche.
È stata davvero rasa al
suolo, non metaforicamente come dicono i giornalisti quando vogliono ottenere
maggiore attenzione per i loro titoli.
Distrutta palazzo dopo
palazzo, i ponti sul fiume fatti esplodere, ammazzati donne, bambini, uno dopo
l’altro, uno in fila all’altro.
Da noi hanno ricostruito,
qui hanno costruito da zero, la differenza è abissale.
Da quando ho cominciato a
interessarmi alle case, non riesco a fotografare che quelle: edifici, finestre,
cortili, è così difficile fotografare gli uomini, anche le facce interessanti, soprattutto
quelle, sono troppo timido e non ho un teleobiettivo abbastanza spinto per
rubare le loro espressioni.
Karolina mi consiglia
anche ascensori e scale, mi porta a vedere i suoi posti preferiti.
Uno è un cortile dove al
centro hanno messo un razzo, grigio e rosso, senza alcuna magnificenza, di latta,
corroso dal tempo, sembra nato già senza ambizioni, magari negli anni Settanta,
quando i sovietici avevano perso la loro sfida spaziale contro gli americani e
la fiducia nel futuro era diventata una necessità burocratica.
Varsavia è in fiamme inizia così il filmato girato dagli stessi
insorti in quelle poche settimane in cui sembrava possibile sconfiggere le truppe
tedesche, lo proiettavano in un cinema del centro che era rimasto miracolosamente
ancora in piedi.
Immagino una folla piena,
posti a sedere tutti occupati, gente in fondo che si sporge dalle spalle altrui
per vedere, tutti sanno benissimo che le cose si stanno mettendo male e si
piazzano comunque davanti allo schermo, fissano la loro vita distrutta in
bianco e nero, vanno imperterriti ad assistere alla proiezione, non come fate
voi con le vostre storie finte il sabato sera.
Palazzi in fiamme,
tentativi di spegnere incendi che non vanno a buon fine per colpa della carenza
d’acqua, cavalli uccisi e macellati per poter sfamare la gente.
Gli ultimi tre cavalli, dice il filmato, cavalli in salute che ancora
galoppavano.
Guardo il filmato in un
museo colmo di fotografie con didascalie molto informative, troppo, l’accumulo
di dati e vicende mi confonde, quelle riprese di guerra sono il vero appiglio
con la realtà, con i cortili che mi porta a vedere Karolina.
A un certo punto mostrano
dei nazisti fatti prigionieri, la voce fuori campo dice che a differenza della
brutalità delle SS loro trattano bene i prigionieri, e si vede un barbiere che
taglia i capelli ad un soldato in divisa nera.
I barbieri servono sempre,
anche in mezzo a una catastrofe, la presentabilità delle facce diventa elemento
di dignità imprenscindibile.
Karolina mi dice che dal
suo appartamento all’ultimo piano, da una finestra vede Parigi, dall’altra New
York.
Ne ha di immaginazione,
le dico, e di quella buona.
Dalla finestra del
cortile ci sono palazzi bassi e alberi, da quella della camera da letto grattacieli
di vetro ordinari, sopra insegne di quelle che da noi sono quasi sparite, tipo
quella della Coca Cola in cui si accende prima la c, poi la o, e così via,
oppure un enorme omino Michelin sorridente.
Ha vissuto in Africa,
Perù, Brasile, ha fatto la burattinaia, ha suonato la fisarmonica, ha finto di saper
ballare la capoeira in una cittadina vicino New York riscuotendo successo
insperato da parte degli americani che sanno solo e sempre dire great quando non
capiscono cosa sta succedendo attorno a loro.
Non ha alcun difetto di
chi viaggia molto, e si ritiene per questo migliore dell’altro.
È tornata a Varsavia ed è
felice per il ritorno, mi parla del suo anno in Brasile senza il facile
entusiasmo degli adoratori del Sudamerica a tutti i costi.
È stata in una regione dove
tutti le parlavano sempre di soldi e mangiavano ogni giorno grandi grigliate di
carne, stupidamente fieri di potersela permettere.
Varsavia è bella perché
cambia di continuo, mi dice, perché ci sono dei vuoti e delle incoerenze dovute
al passaggio dell’uomo che qui è ancora visibile nel bene e nel male.
Palazzi con le finestre
divelte rimasti così da quando qualcuno li ha sventrati, strutture pericolanti
dove persone sono andate a vivere trasformando eventualità di crollo in case
dove potersi amare.
In un palazzo vicino alla
stazione hanno appeso enormi foto alle finestre, gente che ci ha vissuto ed è stata uccisa in ogni possibile modo, al primo piano uomo con barba e sguardo severo, al terzo donna con
cappello in testa e occhi scuri, al quinto un ragazzino dall’aria furbetta.
Le finestre sono orbite
vuote, nel palazzo dall’altra parte della strada ci sono grossi lavori di
ristrutturazione, fino a poco tempo fa, mi dice Karolina, c’erano le stesse orbite
vuote, e identiche enormi foto alle pareti.
Qualche società l‘ha comprato
e ci sta ricavando degli appartamenti dove qualcuno ci andrà a vivere e dovrà
sapere il meno possibile, i fantasmi abbassano il prezzo al metro quadro.
Stiamo camminando sui
morti, è vero ovunque ma qui è diverso.
Al museo ho letto una
cosa che mi risuona in testa.
Quando ci furono i primi
morti durante la rivolta del 1944 si celebravano funerali quasi maestosi per commemorare
l’eroismo dei caduti, dopo non c’era più tempo per i rituali e i funerali
divennero sempre più rapidi, le preghiere si accorciavano fino a quando non
c’era nemmeno più tempo per seppellire adeguatamente i morti, non c’era nemmeno
più tempo per un amen.
Sono arrivato a Varsavia da
Cracovia che è perfetta e medievale, sembra identica a se stessa da sempre, la
città giusta per farci nascere un Papa.
A Varsavia tutto può
cambiare, mi dice Karolina, questo le piace, essere nel posto dove è nata ed assistere
ai cambiamenti, anche a quelli piccoli che la fanno sentire viva.
E particolarmente esperta
in luoghi piccoli, mi porta a vedere un posto surreale dove puoi osservare
vecchie foto da uno spioncino, l' effetto è perfettamente tridimensionale d, si chiama
fotoplastico, l’hanno inventato a metà dell’800, o assistere al concerto meno
affollato del mondo.
I musicisti si siedono dentro
l’apparecchio circolare e suonano mentre tu guardi vecchie foto, il pubblico
massimo è quello degli spioncini disponibili.
Mi indica l’edicola più
piccola di Varsavia e mi porta a visitare il cortile più stretto, quello di un
edificio comunale dove alla guardiola c’e un poliziotto annoiato che deve
vigilare su tassi alcolici e e
liti dei condomini.
Tornati a casa, ci siamo
dimenticati dell’accordo russo-americano di cui ci ha parlato il signore al
mercato, non controlliamo nemmeno se sia una completa fantasticheria o se sia
un delirio basato su un evento trascurabile, tipo quei summit che si
tengono ogni tanto fra due paesi, in cui ci si promette sempre genericamente un
rafforzamento delle relazioni commerciali e ci si dichiara amicizia incondizionata.
Il signore l’accordo
probabilmente lo ha sognato, eppure oggi la sua ipotetica attualità è l’unica
che potrebbe davvero interessarmi.
:))) Non sai nemmeno quanto piacere mi fa, che Varsavia (e come la amo io) ti hanno inspirato :) ma i miei nonnetti, dove sono spariti nella storia? :) E le ragazze che sorridono a se stesse? :) Le descriverai nella prossima puntata, no? :) Un piccolo dettaglio: e' FOTOPLASTIKON, ce n'erano piu' do 15 a Varsavia prima della guerra. Qua il site: http://fotoplastikonwarszawski.pl/
RispondiEliminaE il museo del neon sara' aperto presto. il 19 di maio!
Ti saluto e grazie :) Torna torna, perche' qua c'e' sempre qualcosa da scoprire :) Ka.
Il palazzo con le foto, di cui parli, è in ulica Prozna, l'unica strada del ghetto ebraico sopravvissuta ai bombardamenti. Sui muri si possono ancora vedere i buchi lasciati da pallottole e granate. Al civico 14 c'è un portone di legno azzurro, tutto scrostato, con uno spioncino esagonale. Affacciandoti, puoi vedere l'unico pavimento lastricato in legno rimasto in una città europea. Stanno ristrutturando tutto. Peccato. Certe ferite devono rimanere aperte.
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