Sono in un taxi giallo a
Minsk.
Non ho ancora avuto il
tempo di girare la città ma intuisco da ogni dettaglio che intravedo dal
finestrino che non siamo nella Comunità Europea né nei paesi che aspirano a esserne inclusi.
Luci lampeggianti blu e verdi sotto cupole di plastica,
uscite delle metro che sembrano propaggini di astronauti che non abbiamo avuto
il coraggio di costuire negli anni ’70.
Domani vedrò palazzi
dello sport che imitano sottomarini e case allungate che desiderano essere
scambiate per barche a vela.
Per ora resto seduto
dietro il taxi guidato dal padre di Ilia che ci sta riportando a casa dopo la
sauna.
Nessuno parlava inglese,
quando mi ascoltavano mi fissavano le labbra, domani sarò osservato come un
alieno nei vagoni della metro.
"Sono un uomo"mi hanno detto quattro russi, bevevamo in
sincrono bicchieri di vodka nelle pause , presumevano che in quanto italiano mi
fossi dimenticato come si beve.
Hanno giustamente poco
rispetto per lo straniero, qui è ancora un forestiero, vezzegiato e deriso.
Scherzano sul loro
presidente e sulla mancanza di democrazia paragonandola alle ossessioni per la
figa di Berlusconi, quando ci si spinge troppo in là nella critica interviene il
boss della sauna, un omone altro più di uno e novanta, grosso, dal sorriso poco
rassicurante, il gestore dell’acqua calda sostiene che i media esagerano e da
una cosa piccola ne viene fuori una grande, le faccende non vanno così male,
taglia il discorso politico con un brindisi delle loro parti.
Che tutto resti uguale, traduce
Ilia, mi spiega che un giorno puoi essere un principe, l’altro un povero,
meglio accontentarsi, che tutto resti uguale, in fondo le cose potrebbero anche
peggiorare, anche se di principi attorno non ce ne sono.
Brindo, so che si tratta
di una resa alla mancanza di libertà ma condivido la frase dal punto di vista
esistenziale, l’unico che mi interessa, sono sollevato che si cambi argomento.
Alla fine si mettono a intonare
canzoni sulla guerra.
La grande guerra
patriottica qui la chiamano, mica la seconda guerra mondiale, canti sui partigiani,
domani andrò a vedere un museo in cui ci sono affisi manifesti di proaganda e poi
vecchi fucili e cannoni, uniformi, medaglie, apprezzo l’orgoglio russo e penso
con fastidio ai musei dell’Europa centrale che raccontano di liberazione dall’oppressione
sovietica saltando e dimenticando completamente le premesse, la liberazione.
Sputo mentalmente sull’Ungheria
fascista ben prima di essere occupata dai tedeschi, sugli ustascia croati, semplicifico
perchè ho bevuto , confondo personale
e generale, sono debole e in preda alle suggestioni di scadente vodka liscia.
Me ne sto in un angolino
del taxi e sorrido a ogni cosa, ai cumuli di neve ben sistemati sui lati della
strada, al finestrino rigato dall’acqua, all’effetto della condensa sulle luci
esterne, al mio pessimo inglese che qui sembra un dono del signore oppure un
incantesimo del diavolo, a seconda di chi ti ascolta.
Sorrido e mi lascio
trasportare, per la prima vota dopo anni mi sembra di capire il senso del
viaggio del non farsi comprenere e del non comprendere bene le cose attorno e
immaginarsele.
Sono euforico ma so che questo
coraggio passerà domani quando camminerò per le strade e dopo un po’ resterò indifferente
a tutto, mi coglierà una nostalgia improvvisa di una casa che non c’e da
nessuna parte e mi vergognerò della banalità di questa riflessione.