lunedì 25 novembre 2013

il solito giro


E' molto più interessante l'uomo che annuncia i treni dell'amministratore delegato delle Ferrovie,
è molto più gratificante conoscere l'uomo che supervisiona i semafori che l'assessore con delega al traffico.
L'uomo comune può rivelare più facilmente la sua essenza; l'uomo di potere, proprio per esser arrivato ad un qualche tipo di vertice, è dominato spesso dalla prudenza e retto dall'ipocrisia.
In questi giorni sto leggendo varie cose di Gay Talese, uno degli esponenti maggiori del new journalism.
Pur avendo nell'arco della sua lunghissima carriera scritto su uomini famosi - da Sinatra ad Alì, da Joe di Maggio a Peter O'Toole - ha spesso ritratto personaggi solo apparentemente comuni e raccontato storie apparentemente poco notiziabili.
Così fra i suoi articoli ci sono quelli sull'uomo che cambiava i titoli luminosi in Times Square negli anni '50, quello sulle battaglie dei gatti randagi a New York oppure, uno fra i miei preferiti, quello sul responsabile dei “coccodrilli” del giornale, un tipo schivo che ricopriva un ruolo considerato modesto all'interno della redazione del New York Times.
Talese lo considerava invece un privilegiato.
Mentre gli altri correvano da una parte e dall'altra per inseguire la sfuggente attualità lui viveva tranquillamente al di fuori e al di sopra della stessa, dispensando giudizi ben ponderati sulle esistenze.
Preparava i suoi necrologi cercando di non farsi mai cogliere impreparato, valutando età, stato di salute e necessità di aggiornamento degli stessi.
Talese conosceva bene quel lavoro perché anche a lui era stata affidata la stessa mansione per un periodo, una sorta di retrocessione temporanea per essere stato incapace di scrivere di politica quando gli era stato richiesto.
Non riusciva a ricavare mai più di 7000 caratteri dalla ridda di dichiarazioni e controdichiarazioni di senatori, deputati e delegati dello stato, ed il limite minimo per un articolo del genere sul Times era di 8000 .
Sfuggì successivamente a quel purgatorio passando alla rivista settimanale dove poteva dimostrare il suo talento senza doverlo vincolare alle limitazioni della cronaca.
Mentre leggo Talese scorro gli status Facebook di intellettuali italiani e penso a quello che ci manca.
Gran parte degli status sono espressioni riferite ad un circolo chiuso che inizia in un teatro occupato e finisce in una casa editrice, oppure sono commenti sulle ultime mattane di un vecchio politico sul lunghissimo viale del tramonto o battute sarcastiche su uno nuovo che presto sarà fatalmente inghiottito nel già visto.
Ci sono discussioni interminabili su questioni di rilevanza più o meno locale, la penisola italiana ricopre un ruolo meschino se ampliamo lo sguardo, o comunque su irrilevanti dilemmi che poco o nulla hanno a che vedere con l'esistenza.
Polemiche su discorsi, atti e fatti dell'universo mediatico, includendo in questo tv, blog, web, libri, giornali, riviste e tutto l'armamentario vario;
riferimenti e citazioni per me piuttosto incomprensibili, in particolare da quando ho deciso di connettermi in modo sempre più parziale.

Non mi meraviglio se romanzi, articoli o sceneggiature degli stessi intellettuali evochino quasi tutte lo stesso mondo.
E restano ben delimitati in quel mondo anche quando provano a raccontare altro, a cercar di cavar fuori storie edificanti su proletari oppure a progettare fughe verso l'onirico.
Qualsiasi tentativo, anche se in perfetta buona fede, è destinato ad essere frustrato in partenza.
Quel mondo si riflette nelle facce degli attori, nei dialoghi e perfino nel linguaggio usato, infarcito di parole che mai sono usate nella realtà; parole scritte, non parlate.
Anche quando uno di questi autori ha avuto una brillante intuizione - Francesco Piccolo con il suo libro L'Italia spensierata - ovvero sperimentare esperienze che normalmente componenti del suo ceto intellettuale rifuggono, come incolonnarsi sull'autostrada alla vigilia di Ferragosto, sosta all'autogrill compresa, andare in gita a Gardaland oppure recarsi durante le vacanze natalizie nei cinema a guardare il panettone di Boldi e De Sica, l'operazione fallì, lo sguardo non era mai innocente, ma continuamente venato da giudizi di alterità.
Nessuna descrizione obiettiva, nessuna empatia, nessuna pietà di fronte alle debolezze, solo e unicamente cinismo.
Lo stesso cinismo che conosco bene anch'io per averlo ugualmente e insistentemente praticato in anni di frequentazioni di centri sociali, spazi culturali e controculturali, e per aver cercato di mantenere una specie di cordone sanitario stretto sulle mie conoscenze, come se dovessi evitare il contagio con i barbari.

Per fortuna ci sono delle eccezioni, sempre troppo poche, persone e autori alla caccia dell'insolito:
Gianni Miraglia con le sue missioni in Russia e le sue affermazioni coraggiose contro l'etica del lavoro;
Ivan Carozzi e il suo blog foto testuale (http://theitaliangame.tumblr.com) composto da trafiletti di cronaca datati che raccontano un'epoca meglio di tanta inutile saggistica universitaria, supportando l'ipotesi di Talese secondo cui a volte è molto più utile dare una scorsa agli annunci personali e alle pagine delle edizioni locali piuttosto che leggere gli articoli di fondo e le prime pagine.
E poi c'è Thomas Pololi e la sua raccolta di quadernini delle elementari e delle medie (www.facebook.com/quadernini), un'operazione quasi commovente di recupero di piccole memorie imperfette attraverso temi, composizioni libere e dettati.
O Valerio Millefoglie, nelle cui creazioni, siano esse canzoni, libri, performance dal vivo, prevale sempre il generale sul contingente, se parla di crisi posso esser certo che sta parlando di crisi esistenziale e non di posti di lavoro in aumento o in diminuzione.
Se dovessi mai realizzare una rivista, e so che è un sogno destinato a restare tale, queste sarebbero alcune delle persone che vorrei come collaboratori.
D'altronde tutti i miei autori preferiti, siano essi scrittori, registi o autori teatrali, sono sempre stati poco interessati alla bieca attualità e molto all'attualità della vita che sfugge ai radar delle cronache.

Talese, ad esempio, preferiva gli sconfitti ai vincenti, ed anche quando gli capitava di parlare dei vincenti ne osservava il lato fragile, tutti siamo persi o in procinto di perdere.
Agassi, nella sua bellissima autobiografia Open, dice che la soddisfazione della vittoria è cosa povera e quasi insignificante rispetto alla sofferenza procurata dalla sconfitta.
Pensando ad Agassi, mi viene in mente che sempre più mi piacciono libri di non fiction, biografie, autobiografie, storie vere.
Forse in questo c'è una mia idiosincrasia, eppure non posso fare a meno di sospettare che possa dipendere anche dall'oggettiva difficoltà di creare buone storie quando si spreca l'energia per poter mantenere i rapporti con il mondo attraverso le nostre innumerevoli protesi, o forse perché troppe persone si aggirano attorno al totem della posticcia attualità.

In fondo se penso alla parte di mondo in cui vivo, Roma, non posso fare a meno di notare che spesso abito gli stessi luoghi, riesco a muovermi con sicurezza solo all'interno di un un cerchio chiuso e rassicurante, e ho il sospetto che rischierei di fare lo stesso persino se cambiassi città o nazione.
Troppo spesso ho conosciuto viaggiatori che avevano attraversato il mondo senza cambiare di un millimetro rispetto alle loro consuetudini.
Le loro convinzioni mai scalfite davvero dall'immersione in un luogo altro.

Per questo spesso mi annoio e allora ho deciso di andare nei posti dove non sono mai stato e dove posso contare, o illudermi, di incontrare un'umanità diversa.

Qualche mese fa ho letto un bell'articolo di Walter Siti su una delle strade consolari di Roma, la Tiburtina, e sulla sua trasformazione incessante e silenziosa in una specie di parodia derelitta di Las Vegas per la sua altissima concentrazione di sale bingo e templi pagani dell'azzardo.
Ecco, quando mi capita di imbattermi in zone fuori dal raccordo e costeggio mobilifici di periferia o sale disco dalle luci al neon poco contemporanee, immediatamente penso che in questi posti non ci sono mai entrato, nemmeno una volta, nemmeno per sbaglio, per un provvidenziale incidente, mentre sono stato cento, mille volte in posti dove sono certo di incontrare la solita gente.
Quasi sempre persone dalle esistenze troppo simili alla mia, esistenze confuse, divertenti o complicate, ma in ogni caso riconoscibili.
Così ieri ho deciso di stilare un piano per le prossime settimane.
Un piano che preveda di visitare luoghi e di fare cose che per puro conformismo o abitudine non faccio mai.
Una giornata alle corse, in un ippodromo a scommettere cavalli e la sera successiva ad una riunione di boxe, a bordo ring;
una nottata in una discoteca frequentata dalle comunità sudamericane con i loro cantanti, la loro musica e i loro cocktail;
andare a pesca per un'intera giornata, alternando al silenzio sorsate di whisky per combattere il freddo.
Oppure trascorrere qualche ora di ozio in un night club stile Bada Bing dei Sopranos dove mi sembra che ci possano essere personaggi dalle vite interessanti, che possano scandalizzare il lettore medio di Repubblica, lo spettatore di Fazio o un condomino del palazzo in cui abito.

Non so se da queste esperienze ne ricaverò qualche storia degna di essere messa per iscritto, probabilmente non sono abbastanza abile per farlo, ma in ogni caso qualcosa ne ricaverò.