E' molto più
interessante l'uomo che annuncia i treni dell'amministratore
delegato delle Ferrovie,
è
molto più gratificante conoscere l'uomo che supervisiona i semafori
che l'assessore con delega al traffico.
L'uomo
comune può rivelare più facilmente la sua essenza; l'uomo di
potere, proprio per esser arrivato ad un qualche tipo di vertice, è
dominato spesso dalla prudenza e retto dall'ipocrisia.
In questi giorni sto
leggendo varie cose di Gay Talese, uno degli esponenti maggiori del
new journalism.
Pur avendo nell'arco
della sua lunghissima carriera scritto su uomini famosi - da Sinatra
ad Alì, da Joe di Maggio a Peter O'Toole - ha spesso ritratto
personaggi solo apparentemente comuni e raccontato storie
apparentemente poco notiziabili.
Così fra i suoi articoli
ci sono quelli sull'uomo che cambiava i titoli luminosi in Times
Square negli anni '50, quello sulle battaglie dei gatti randagi a New
York oppure, uno fra i miei preferiti, quello sul responsabile dei
“coccodrilli” del giornale, un tipo schivo che ricopriva un ruolo
considerato modesto all'interno della redazione del New York Times.
Talese lo considerava
invece un privilegiato.
Mentre gli altri
correvano da una parte e dall'altra per inseguire la sfuggente
attualità lui viveva tranquillamente al di fuori e al di sopra della
stessa, dispensando giudizi ben ponderati sulle esistenze.
Preparava i suoi
necrologi cercando di non farsi mai cogliere impreparato, valutando
età, stato di salute e necessità di aggiornamento degli stessi.
Talese conosceva bene
quel lavoro perché anche a lui era stata affidata la stessa mansione
per un periodo, una sorta di retrocessione temporanea per essere
stato incapace di scrivere di politica quando gli era stato
richiesto.
Non riusciva a ricavare
mai più di 7000 caratteri dalla ridda di dichiarazioni e
controdichiarazioni di senatori, deputati e delegati dello stato, ed
il limite minimo per un articolo del genere sul Times era di 8000 .
Sfuggì successivamente a
quel purgatorio passando alla rivista settimanale dove poteva
dimostrare il suo talento senza doverlo vincolare alle limitazioni
della cronaca.
Mentre leggo Talese
scorro gli status Facebook di intellettuali italiani e penso a quello
che ci manca.
Gran parte degli status
sono espressioni riferite ad un circolo chiuso che inizia in un
teatro occupato e finisce in una casa editrice, oppure sono commenti
sulle ultime mattane di un vecchio politico sul lunghissimo viale del
tramonto o battute sarcastiche su uno nuovo che presto sarà
fatalmente inghiottito nel già visto.
Ci sono discussioni
interminabili su questioni di rilevanza più o meno locale, la
penisola italiana ricopre un ruolo meschino se ampliamo lo sguardo,
o comunque su irrilevanti dilemmi che poco o nulla hanno a che vedere
con l'esistenza.
Polemiche su discorsi,
atti e fatti dell'universo mediatico, includendo in questo tv, blog,
web, libri, giornali, riviste e tutto l'armamentario vario;
riferimenti e citazioni
per me piuttosto incomprensibili, in particolare da quando ho deciso
di connettermi in modo sempre più parziale.
Non mi meraviglio se
romanzi, articoli o sceneggiature degli stessi intellettuali evochino
quasi tutte lo stesso mondo.
E restano ben delimitati
in quel mondo anche quando provano a raccontare altro, a cercar di
cavar fuori storie edificanti su proletari oppure a progettare fughe
verso l'onirico.
Qualsiasi tentativo,
anche se in perfetta buona fede, è destinato ad essere frustrato in
partenza.
Quel mondo si riflette
nelle facce degli attori, nei dialoghi e perfino nel linguaggio
usato, infarcito di parole che mai sono usate nella realtà; parole
scritte, non parlate.
Anche quando uno di
questi autori ha avuto una brillante intuizione - Francesco Piccolo
con il suo libro
L'Italia spensierata - ovvero sperimentare esperienze che
normalmente componenti del suo ceto intellettuale rifuggono, come
incolonnarsi sull'autostrada alla vigilia di Ferragosto, sosta
all'autogrill compresa, andare in gita a Gardaland oppure recarsi
durante le vacanze natalizie nei cinema a guardare il panettone di
Boldi e De Sica, l'operazione fallì, lo sguardo non era mai
innocente, ma continuamente venato da giudizi di alterità.
Nessuna descrizione
obiettiva, nessuna empatia, nessuna pietà di fronte alle debolezze,
solo e unicamente cinismo.
Lo stesso cinismo che
conosco bene anch'io per averlo ugualmente e insistentemente
praticato in anni di frequentazioni di centri sociali, spazi
culturali e controculturali, e per aver cercato di mantenere una
specie di cordone sanitario stretto sulle mie conoscenze, come se
dovessi evitare il contagio con i barbari.
Per fortuna ci sono delle
eccezioni, sempre troppo poche, persone e autori alla caccia
dell'insolito:
Gianni Miraglia con le
sue missioni in Russia e le sue affermazioni coraggiose contro
l'etica del lavoro;
Ivan Carozzi e il suo
blog foto testuale (http://theitaliangame.tumblr.com)
composto da trafiletti di cronaca datati che raccontano un'epoca
meglio di tanta inutile saggistica universitaria, supportando
l'ipotesi di Talese secondo cui a volte è molto più utile dare una
scorsa agli annunci personali e alle pagine delle edizioni locali
piuttosto che leggere gli articoli di fondo e le prime pagine.
E poi c'è Thomas Pololi
e la sua raccolta di quadernini delle elementari e delle medie
(www.facebook.com/quadernini),
un'operazione quasi commovente di recupero di piccole memorie
imperfette attraverso temi, composizioni libere e dettati.
O Valerio Millefoglie,
nelle cui creazioni, siano esse canzoni, libri, performance dal vivo,
prevale sempre il generale sul contingente, se parla di crisi posso
esser certo che sta parlando di crisi esistenziale e non di posti di
lavoro in aumento o in diminuzione.
Se dovessi mai realizzare
una rivista, e so che è un sogno destinato a restare tale, queste
sarebbero alcune delle persone che vorrei come collaboratori.
D'altronde tutti i miei
autori preferiti, siano essi scrittori, registi o autori teatrali,
sono sempre stati poco interessati alla bieca attualità e molto
all'attualità della vita che sfugge ai radar delle cronache.
Talese, ad esempio,
preferiva gli sconfitti ai vincenti, ed anche quando gli capitava di
parlare dei vincenti ne osservava il lato fragile, tutti siamo persi
o in procinto di perdere.
Agassi, nella sua
bellissima autobiografia Open, dice che la soddisfazione della
vittoria è cosa povera e quasi insignificante rispetto alla
sofferenza procurata dalla sconfitta.
Pensando ad Agassi, mi
viene in mente che sempre più mi piacciono libri di non fiction,
biografie, autobiografie, storie vere.
Forse in questo c'è una
mia idiosincrasia, eppure non posso fare a meno di sospettare che
possa dipendere anche dall'oggettiva difficoltà di creare buone
storie quando si spreca l'energia per poter mantenere i rapporti con
il mondo attraverso le nostre innumerevoli protesi, o forse perché
troppe persone si aggirano attorno al totem della posticcia
attualità.
In fondo se penso alla
parte di mondo in cui vivo, Roma, non posso fare a meno di notare che
spesso abito gli stessi luoghi, riesco a muovermi con sicurezza solo
all'interno di un un cerchio chiuso e rassicurante, e ho il sospetto
che rischierei di fare lo stesso persino se cambiassi città o
nazione.
Troppo spesso ho
conosciuto viaggiatori che avevano attraversato il mondo senza
cambiare di un millimetro rispetto alle loro consuetudini.
Le loro convinzioni mai
scalfite davvero dall'immersione in un luogo altro.
Per questo spesso mi
annoio e allora ho deciso di andare nei posti dove non sono mai stato
e dove posso contare, o illudermi, di incontrare un'umanità diversa.
Qualche mese fa ho letto
un bell'articolo di Walter Siti su una delle strade consolari di
Roma, la Tiburtina, e sulla sua trasformazione incessante e
silenziosa in una specie di parodia derelitta di Las Vegas per la
sua altissima concentrazione di sale bingo e templi pagani
dell'azzardo.
Ecco, quando mi capita
di imbattermi in zone fuori dal raccordo e costeggio mobilifici di
periferia o sale disco dalle luci al neon poco contemporanee,
immediatamente penso che in questi posti non ci sono mai entrato,
nemmeno una volta, nemmeno per sbaglio, per un provvidenziale
incidente, mentre sono stato cento, mille volte in posti dove sono
certo di incontrare la solita gente.
Quasi sempre persone
dalle esistenze troppo simili alla mia, esistenze confuse, divertenti
o complicate, ma in ogni caso riconoscibili.
Così ieri ho deciso di
stilare un piano per le prossime settimane.
Un piano che preveda di
visitare luoghi e di fare cose che per puro conformismo o abitudine
non faccio mai.
Una giornata alle corse,
in un ippodromo a scommettere cavalli e la sera successiva ad una
riunione di boxe, a bordo ring;
una nottata in una
discoteca frequentata dalle comunità sudamericane con i loro
cantanti, la loro musica e i loro cocktail;
andare a pesca per
un'intera giornata, alternando al silenzio sorsate di whisky per
combattere il freddo.
Oppure trascorrere
qualche ora di ozio in un night club stile Bada Bing dei Sopranos
dove mi sembra che ci possano essere personaggi dalle vite
interessanti, che possano scandalizzare il lettore medio di
Repubblica, lo spettatore di Fazio o un condomino del palazzo in cui
abito.
Non so se da queste
esperienze ne ricaverò qualche storia degna di essere messa per
iscritto, probabilmente non sono abbastanza abile per farlo, ma in
ogni caso qualcosa ne ricaverò.