martedì 27 dicembre 2011

Contro due canadesi



Le due canadesi restano a casa tutto il giorno.
Una ha venti anni, l’altra trenta, ma quella ventenne ne dimostra di più e quella trenta di meno, così paiono coetanee.
Sembrano anche sorelle: stessi capelli tinti male, stessi maglioni sformati, stesse pance prominenti, sono imbruttite malamente per loro stessa mano, sono colpevoli della loro apparenza quanto la natura.

Rimarranno a Roma per tre giorni, stanno attraversando il mondo per il loro grande viaggio.
Hanno girato già mezza Europa ma, confuse, non sanno restituirmi nessuna impressione degna di rilievo.
Dopo andranno ad Atene, dà lì partiranno in direzione del Sud Est asiatico.
Sono sempre stato diffidente verso questi lunghi viaggi con tappe di quattro giorni in ogni posto, attraversamenti bulimici del globo terrestre incitati dall’abbassamento delle tariffe aeree e dalla connettività globale.
Sono un couchsurfer ovvero ospito estranei alla ricerca di sistemazioni gratuite e conoscenze con i residenti locali, da un po’ non ospitavo gente così avevo accettato la loro richiesta.
Avevano detto che il mio profilo era interessante, stimavano i miei gusti cinematografici, volevano discuterne, basta qualche lusinga al tuo ego sotto forma di e-mail per convincerti a dire sì.
Ho offerto loro il mio divano letto in soggiorno e di notte sento che stanno guardando a basso volume delle serie televisive in streaming.
Fanno le quattro davanti ai loro computer portatili, ridono a strappi come iene ben pasciute.
Ci fu un periodo che anche io guardavo serie, S. era sempre informata sulle nuove uscite dei network statunitensi, si occupava del download con la fibra veloce, cercava episodi e sottotitoli in italiano, alcune volte le guardavamo assieme, altre  volte se le vedeva da sola.
Di tutto quel periodo mi sono rimaste un sacco di immagini inutili per la mia esistenza, molti superficiali sorrisi e vani apprezzamenti per le battute e i dialoghi ben strutturati, mi capitava di osservare le serie come fossi un esperto o un futuro sceneggiatore.
Per qualche mese con S. avemmo anche l’idea di idearne una, la volevamo intitolare il Localino, aveva come protagonisti un gruppo di amici che prendevano in gestione un bar nel quale avrebbero fatto lavorare soltanto nani.
Reclutammo perfino un paio di persone che avrebbero dovuto aiutarci a scrivere la puntata pilota, lavorai su una autentica bibbia dei personaggi con caratteristiche della personalità, vizi e virtù, e albero genealogico, da qualche parte devo ancora conservarla, era una follia a pensarci oggi ma non era male allora.
Ora non guardo più le serie anche se sono nel mio appartamento cittadino e ne avrei tutto il diritto, mentre ste due pigre dal culo flaccido ed enorme non trovano niente di meglio da fare che passare la notte a vedere tutto: serie horror e di fantascienza, comedy e poliziesche.
Sono di quelle tipe che non fanno distinzione, ogni tanto ti sorprendono perché cadono in deliquio per un film davvero degno di essere omaggiato ma in realtà si abbuffano di ogni cosa, si deliziano a starsene ore imbambolate davanti a uno schermo, solo in questo modo sopportano la vita che per loro è anche più dura vista la loro inerzia e il loro aspetto.

Hanno anche in troppa alta considerazione il cinema.
Il cinema è quasi sempre una perdita di tempo, a volte un eccitante utile per passare qualche ora, un distraente come può esserlo il gioco d’azzardo o la masturbazione
Soprattutto quando si tratta di film gradevoli e vacui, sia d’autore che commerciali.
Più sono gradevoli e ben scritti, spesso, e più sono una autentica perdita di tempo, e pure una sottile manipolazione.
In fondo grandi uomini hanno vissuto senza mai aver visto un film, ne hanno  fatto tranquillamente a meno.
Tutti quelli morti prima dei Lumiere ad esempio, anche i miei scrittori preferiti del ‘900 andavano mica tanto al cinema, preferivano recarsi nei teatri di rivista.


Le due canadesi restano alzate invece a fare le ore piccole davanti al loro cibo audiovisivo a buonissimo mercato, in tutto simile agli snacks dolci e salati che le hanno trasformate in balene spiaggiate.
Poi si svegliano tardissimo la mattina e non hanno più voglia di uscire, hanno freddo anche se vengono da Vancouver, rimangono a casa a bere tè, bevono tè a vagonate, mettono a scaldare l’acqua nella pentola grande per la pasta.
All’inizio ero quasi convinto che fossero lesbiche, in questo modo mi sarei spiegato le loro nottate e la loro pigrizia assoluta e invincibile, ma quando mi esposero chiaramente la loro eterosessualità raccontandomi dei loro mezzi ragazzi semi idioti che avevano lasciato in qualche sobborgo residenziale, le stimai ancora meno.

Sono andati sprecati i miei consigli di itinerari, sia quelli turistici che faccio per le visitatrici medie, alle quale propongo il solito giro Pantheon Piazza Navona Campo De Fiori con conclusione in Trastevere, sia quelli più alternativi nei quali promuovo zone meno conosciute dagli stranieri o segnalo qualche indirizzo per bere un buon caffè o mangiare un discreto gelato.
Loro dicono che va bene così, anche stare in casa di un italiano è un’esperienza nuova, si stupiscono di qualsiasi abitudine e di qualsiasi novità:
l’ascensore piccolo e dall’aria antiquata, poco affidabile, con le doppie porte che rendono l’apertura macchinosa e lenta; il particolare modo nel quale si accendono certe luci, la insolita conformazione della rubinetteria.
Tutte le abitudini di un posto nuovo ti fregano, ti danno l’illusione che ci sia un mondo più interessante, quando hai imparato a capire il trucco diventi insensibile a tutto, il viaggiatore medio è spesso alla ricerca disperata di questa bugia.

E’ il loro modo di viaggiare mi dicono quando chiedo se non hanno proprio curiosità di andarsene a spasso, così tanto per camminare,  intanto si connettono ad ore alterne con i loro laptop per comunicare con le famiglie o gli amici che si interrogano sulla loro avventura.
Se definissero i miei suggerimenti di itinerari come borghesi e conformisti, le applaudirei a scena aperta ma loro non vagano nemmeno per strade qualunque del quartiere.
Una ragazza recentemente mi ha convinto di quanto sia utile e salutare camminare per ore, evita in modo assoluto metro e autobus, forse proprio il suo continuo trotterellare a velocità costante la rende radiosa.
Fuori nemmeno piove, ma le canadesi restano tappate in casa a preoccuparsi di un eventuale sciopero che farebbe ritardare il loro volo.
Questi viaggiatori si trovano bene soltanto negli scali aerei fra un'attesa e l’altra, ecco perché sono sempre così ossessionati dalle regole sui bagagli da portare in stiva, dalle pratiche relative al check in e dagli orari delle navette fra stazioni ferroviarie ed aeroporti.

giovedì 22 dicembre 2011

anni '30


A che ora ti svegli domani mattina?
Oggi a che ora ti sei svegliato ?
Quante ore hai dormito?
Sono domande che mi hanno sempre dato fastidio
Mi sembrano invasive dei miei ritmi biologici o della mia situazione esistenziale.
Vado a dormire quando mi pare mi verrebbe di rispondere, forse mi infastidisco perché sono un ex insonne occasionale e so cosa significhi lottare contro i pensieri e le immagini stravaganti provocate dall’incrocio fra corpo e lenzuola.
Forse perché non voglio che qualcuno rubi informazioni sulle mie tante o scarse riserve di energia, o sulle mie abitudini, a volte fingo perfino di essermi svegliato più tardi per vivere in incognita qualche ora, ore segrete di cui non deve venire a conoscenza il mondo.

Un'altra cosa che mi irrita è quando cercano di definirmi in base agli anni che porto: gusti musicali, rituali domestici, intensità nell’apprezzamento di liquori pregiati, maniera di concepire i rapporti interpersonali, ogni cosa può essere interpretata secondo schemi basati rigidamente su anni e decadi.
Ho sempre detestato le differenziazioni generazionali di questo tipo, forse perché non mi sono mai sentito un ventenne, un’amica anni fa mi disse che le sembravo un reduce, uno che avesse visto chissà quante cose, un cinico disincantato.
Penso di essere sempre stato in differita rispetto alla mia età, è una sensazione che ho provato  quando mi iniziarono precocemente ad annoiare i cartoni animati di cui si abbuffavano i miei compagni di scuola.
Ora loro conoscono tutte le sigle ed io so bene soltanto le sigle dei cartoni che mi piacevano, di solito storie di orfani e vagabondi senza radici, come Remì ed Heidi.
Non sono affatto un reduce né un cinico, non ho visto guerre né sofferenze atroci, di cose ne ho vissute poche, troppo poche rispetto a quelle immaginate, alle tante viste attraverso libri e cinema.
Il cinema e i libri sono pericolosi, per un po’ dovresti smetterli di vederli o leggerli, altrimenti finisce che ti senti sempre in debito, in debito di amore, di avventure, di esperienza.
Infatti io ogni tanto prendo delle lunghe pause, un igienico modo di evitare confronti da cui uscire perdente, sono in una di queste pause.

Negli ultimi tre mesi ho riletto due libri, quelli nuovi li lasciavo poco dopo averli cominciati, appena c’era un cenno che mi disturbava decidevo di non proseguire, non era la noia, era il timore che mi faceva interrompere la lettura, alcuni erano grandi libri, classici di cui tutti non possono che parlare benissimo.

Forse il rifermento agli anni mi dà fastidio anche perché i miei 35 anni non riesco a viverli come tali, perché sono sempre perfettamente consapevole del loro significato, in modo ben più profondo di quello che può denotare la scelta di una canzone o uno stupido ricordo.
A 35 anni sai che certe cose non le farai più e se le facessi finiresti per sentirti indifeso, fuori sincrono.
A 35 anni non puoi pensare di scoparti due ragazze assieme senza che l'idea ti suoni squallida, non puoi immaginarti a guidare un furgoncino Volkswagen arancione per un viaggio senza meta e senza tappe obbligate da fare in luglio inoltrato.
A 35 anni non puoi pensare di prendere e mollare tutto senza avere prima architettato un piano e aver pesato pro e contro come ti hanno insegnato a fare troppi anni di buona condotta sociale.
A 35 anni non sei più giovane da un pezzo.

martedì 13 dicembre 2011

Contro la divisione della Terra in emisferi





Quando ero bambino il mio Natale era contrassegnato dalle pubblicità televisive realizzate in occasione delle festività dove bambini, di solito ricchissimi e cattivissimi, diventavano di colpo buoni e elargivano doni ai poveri o facevano gesti di generosità improvvisi nei confronti di animali e senzatetto.
In questi spot c’era sempre una neve finta di plastica che cadeva in fiocchi ed invadeva lo schermo venticinque pollici dell’ingombrante televisore in soggiorno.

I bambini delle pubblicità erano attori selezionati dopo faticosi casting fra miriadi di infanti presuntuosi, aspiranti a un successo passeggero.
Erano spot in cui Natale, bontà e marchi commerciali erano connessi in un mostruoso incastro.
Quella bontà aveva una data di scadenza proprio come i panettoni e pandori reclamizzati.
Una bontà destinata a sparire allo scoccare dell'Epifania, quando gli spot sarebbero scomparsi per fare spazio a nuovi inserzionisti pubblicitari più adatti al periodo.

Il pandoro con sopra la Nutella si cominciava a mangiare il sette gennaio a colazione quando il dolce industriale aveva smesso di essere legato al periodo natalizio.
Dopo la Befana, i pandori venivano rottamati a bassissimo costo nei supermercati e diventavano temporaneamente un alimento adatto per la dose di calorie pre-scolastica.
Ho smesso di mangiarlo già quando avevo sedici anni, non sono mai stato uno di quegli studenti fuori sede che si beano del loro status e continuano a ingozzarsene per tutta la carriera universitaria, avendone in cambio brufoli sparsi per tutta la faccia.
Continuo a tenere separati pandoro e Nutella e raramente mi capita di mangiarne.
Anche ora, attorno al tavolo con il pandoro tagliato da coltellini poco adatti, resto in disparte mentre gli altri si avventano sull’involucro di plastica mezzo aperto.
Accenno a dire qualcosa attirando lo sguardo di una tipica divoratrice di prodotti dolciari a basso costo, con sul viso e sul collo alcune bolle rosse sintomo di giovinezza e di alimentazione poco equilibrata.
Anche M. aveva una dieta molto poco ortodossa, beveva in continuazione Coca Cola e mangiava troppi gelati, ma aveva la pelle sempre perfetta.
Il salone è gelido, cosa non sorprendente visto che è inizio dicembre e non ci sono riscaldamenti, la mancanza di caloriferi da noi è sempre vista con sospetto, non è così a Buenos Aires.
È normale lì che non ci siano quando le abitazioni sono piccole come era il suo appartamento.
Metteva una stufetta elettrica e se proprio cominciava a fare più freddo, accendeva il forno a gas aprendo lo sportello per aggiungere del tepore artificiale.
Mi raccontava questi piccoli accorgimenti nelle conversazioni a distanza su Skype.
Era appena tornata a casa, nella sua stagione capovolta.
Ad agosto in Argentina fa freddo, colpa della divisione del pianeta in emisferi.
Questo significa che a dicembre è estate, mi sembrava strano il loro Natale al caldo con le giornate che si allungano e le temperature che salgono, sono sempre stato abituato all’idea del Natale freddo, trovo che sia l’unico possibile, non concepisco la relatività dovuta alla sfericità del nostro mondo.
Quando glielo dissi rispose che la mia visione e l’immaginario in cui credevo dipendeva dalla dominazione yankee del mondo, in fondo Babbo Natale è trainato su una slitta dalle renne ed è un uomo della Lapponia solo a causa delle scelte di marketing della sua Coca Cola.
Se credevo nell’universalità del gelo natalizio era solo per colpa della colonizzazione culturale americana.
Inutile spiegarle che ero semplicemente anche io un abitante dell’emisfero nord, seppure in zona mediterranea, e che Gesù Cristo era nato nel mio stesso emisfero, lei continuava a insistere sulle sue idee citando testi a sproposito.
In teoria le veniva facile trincerarsi nelle sue opinioni, nella pratica andava spesso da McDonald’s che a Buenos Aires trovi quasi ad ogni incrocio, e si faceva spedire tutto a casa: pizza, sushi, empanadas, perfino il gelato, si risentiva del mio stupore sulle sue pigre abitudini.
Come tutti i sudamericani, siano essi conservatori o presunti rivoluzionari , detestava gli statunitensi e ne replicava gli stessi comportamenti, in una maniera inconcepibile per un qualsiasi europeo.
D’altronde anche il suo ex mi aveva apostrofato come cittadino del primo mondo, residente dell’emisfero cattivo, accusandomi per questo di avergli fregato la donna.
Il solito complesso di far parte del secondo mondo, di essere retrocessi in serie B che anche i borghesi covano da quelle parti.
Se la terra fosse stata piatta come una volta si riteneva, se l'asse terrestre non fosse inclinato sull'orbita dell'ellittica, tutti questi malintesi non sarebbero sorti.

lunedì 12 dicembre 2011

Contro il mondo (e gli autori del Trivial Pursuit)


Quale pilota ha vinto un titolo di Formula 1 guidando un auto da lui stesso progettata?
Mi era venuto subito in mente Brabham ma senza una ragione apparente avevo detto Ascari.
La risposta giusta era proprio Brabham e il fatto di averla sbagliata mi aveva provocato uno scatto di disappunto.
Sono una persona competitiva.
Me ne accorgo ancora più di prima da quando pratico la scherma.
Negli esercizi sono contratto, non riesco ad essere sciolto con i polsi, a volte smarrisco il baricentro o piego troppo la schiena, tutti i miei compagni tirano da anni e sono più bravi di me.
Ma quando sono sulla pedana divento grintoso, non mi tiro mai indietro, colpisco, paro d’istinto, vinco spesso all’ultima stoccata.
Mi piace vincere ai giochi, a Subbuteo quando ero bambino, a poker quando avevo quattordici anni, a qualsiasi quiz.
Sono cresciuto con i quiz di Bongiorno, con le domande di cultura generale e di attualità in prima serata, anche rispondere ai quesiti a volta insensati di Trivial Pursuit mi diverte.
Sono piuttosto forte, non sono un fuoriclasse da parole crociate, ho delle lacune sulla mitologia classica e sulla storia antica, e non ho grandi nozioni scientifiche ma per il resto so un po’ di tutto.
La proposta del Trivial Pursuit era l’unica scappatoia che mi era rimasta per evitare il silenzio e il vino bevuto cercando di mantenere un contegno di facciata.
All’improvviso un dettaglio ti può fregare, una parola detta male, una semplice allusione involontaria.
Così le piccole schermaglie, le discussioni sorridenti, i tentativi di suscitare il riso non hanno più senso, crolla tutto e devi cercarti un rifugio provvisorio.
Tutto accade in un attimo, prima eri allineato o almeno fingevi di esserlo, dopo sei completamente tagliato fuori.
Il mio cambio d’umore repentino è potuto sembrare un po’ una posa e forse lo è stata ma qualsiasi posa tenuta a lungo finisce per diventare realtà.
Così me ne sono andato da solo in giardino, mangiando con le mani una fetta di pane e una mozzarella; quando sono ferito non smetto di mangiare, cambio solo il modo di farlo, mi preoccupo ancor meno della forma, ingerisco il cibo guardando fisso un punto nel vuoto.
Hai un modo di guardare strano a volte, mi diceva, ti fissi su un punto e ti perdi.
Come se quel punto non fossero stati troppe volte i suoi occhi.
Seduto sul gradino freddo, sono riuscito con difficoltà a resistere agli assalti ripetuti del come ti senti, ai tentativi di estorcere motivi, mi sono fatto toccare le spalle senza rilasciare alcuna dichiarazione che non fosse palesemente vaga.
Poi me ne sono andato al mare, ritrovandomi davanti ad una rete di ferro con un bicchiere di birra in mano.
Ho appoggiato la fronte alla rete che delimita il campo di basket del villaggio vacanze, ho osservato la luce lunare tagliare il campo immaginando una sequenza da telefilm statunitense.
Il mare agitato alle mie spalle avrebbe potuto essere oceano, d’altronde siamo così platealmente fuori stagione che potremmo fingere di trovarci altrove.
In che stato degli Usa si trova il parco di Yosemite?
Io e Gerald ci siamo stati, sappiamo tutti e due la risposta: è in California.
Uno a uno.
Mi stavo annoiando delle solite due squadre che si erano formate ed avevo suggerito una  variante, giocare io solo contro gli altri sei, l’ho fatto forse per rispettare l’immagine che ho di me o forse soltanto perché mi sentivo in dispari con l’universo.
Ora sto sfidando il mondo.
Paolo contro il resto del mondo.
Come alcune partite di calcio degli anni ’80 in cui la squadra che aveva vinto i Mondiali affrontava in un’amichevole una selezione mista di giocatori delle altre nazioni.
Sono piuttosto ossessionato dagli anni, catalogo così le cose, non soltanto le canzoni, gli stili architettonici e i vestiti ma anche gli oggetti più impensati.
Tutto è preferibilmente anni ’80, ma ci sono anche abitudini anni ’60, tinte anni ’70, concetti anni ’30 e così via.
Non mi sono mai accorto veramente della mia mania prima che lei me lo dicesse, considerai la sua osservazione come l'ennesimo segno di intelligenza acuta, in quel momento corri davvero il rischio di innamorarti. 
Una volta le avevo detto che gli stuzzicadenti sono sicuramente un accessorio anni ’80.
All’epoca tutti li chiedevano dopo pranzo, al ristorante li mettevano sul tavolo assieme ai grissini, anche loro legati indissolubilmente a quegli anni,  ora sono quasi spariti, non li vedo più usare in pubblico, difficile che qualcuno si azzardi a chiederli ad un cameriere.
Io ho sempre detestato gli stuzzicadenti ed adorato i grissini.

Aveva reagito scuotendo la testa e ridendo, ho escogitato perfette battute e osservazioni originali grazie alla sua presenza, peccato non averle registrate o trascritte in qualche modo, avrei potuto servirmene per il futuro, a volte penso che con lei siano andate sprecate.

Per questo forse sfido il mondo e reagisco con piccoli brividi di soddisfazione ad ogni risposta giusta che i miei avversari non conoscono.

Il loro punto di forza è la varietà e il mutuo soccorso, il loro punto di debolezza la democrazia.
Devono riflettere su ogni quesito, a volte si fidano dei componenti più abili, altre volte è inevitabile l’inizio di una discussione pacata che rallenta i loro tempi di reazione, e può portarli fuori strada.
In cima alla lista dei miei viaggi per esempio da anni ho un luogo, per questo ora so benissimo la risposta da dare alla domanda “quale nazione  ha un abitante ogni 1,6 chilometri quadrati?”
Il mondo pondera varie opzioni, Canada, Australia e Russia, la voce che suggerisce l’ipotesi Mongolia è troppo flebile o poco convinta, finiscono per scegliere Canada.
Arriva il mio turno, rispondo Mongolia certo che non ci può essere un’altra nazione così spopolata.
I limiti della democrazia contro l’autosufficienza illusoria del singolo.
Il mondo alla fine vincerà come sempre ma so che lo farà di misura e che potrò consolarmi con un paio di risposte vincenti come questa.
In fondo piuttosto che ubriacarmi come in una brutta sceneggiatura o continuare a girovagare per la spiaggia simulando grandi riflessioni, meglio rimanere qui a sfidare gli autori del Trivial, sempre alla ricerca di domande moderatamente stravaganti.