giovedì 31 marzo 2011

Contro i manichini (?)



Barrio Once, Buenos Aires, quartiere ebreo, commerciale, non bello come tutti i quartieri ebraici che ho visto nel mondo ma piacevolemente caotico, pieno zeppo di negozi che vendono di tutto.
Una cosa bella di Buenos Aires è che ci sono in pieno centro falegnami che ti vendono qualsiasi pezzo di legno ti serva, mercerie che hanno ogni tipo di accessorrio inutile e tipografie anni sessanta con vecchi commessi in camice. Tutti comprano e vendono cose minime e non si riesce a capire come tutti questi negozi da noi pressochè scomparsi riescano a sopravvivere.
Io non sono un fan del consumismo, però mi diverte vedere la gente comprare e scegliere attentamente oggetti inconsueti, ti rende automaticamente puro di spirito.
I negozi poi sono, almeno nei quartieri più commerciali, divisi per settori merceologici, come accade nella tradizione del bazar, come a Istanbul.
Così se devi  proprio cambiare le mattonelle del bagno ci sono venti negozi che ti offrono centinaia di mattonelle da bagno e così per tutto, dalle sedie ai vestiti, dai negozi di fotografia a quelli di floricoltura.
Proprio girovagando ad Once finii in una strada dove ogni vetrina di negozio era occupata da manichini, nulla di nuovo mi direte, ma la differenza è che i manichini erano nudi, completamente nudi e di ogni genere e forma.
Manichini di bambini, manichini di donne magre, manichini di donne grasse, manichini adatti per vestiti interi e manichini adatti per accessori e dettagli,bianchi ma anche neri, semplici ma anche più elaborati, di prima e seconda classe.
Quella strada per uno strana congiuntura del traffico, o semplicemente perché vendeva oggetti così poco commerciabili, era vuota, era una via secondaria e mi trovai a camminare solo in mezzo a manichini che mi osservavano con quella peculiare espressione che solo i  manichini posseggono.
Dopo qualche secondo capii che qui la merce venduta erano proprio loro.
Mi trovano in una strada dove ogni negozio vendeva manichini ad altri commercianti che li avrebbero poi rivestiti e agghindati.
Questi manichini nudi erano il sogno fin troppo banale di  un mediocre esecutore di arte contemporanea.
Pochi giorni fa camminando per un quartiere di Zurigo, che successivamente scoprirò anch’esso essere il qaurtiere ebraico della città, mi sono imbattuto in altri manichini di un negozio.
Manichini con parrucche dai colori chiassosi, viola, giallo, arancione, avevano degli sguardi tristissimi, più vuoti del solito, più vacui del manichino medio.
Immediatamante ho ripensato a quella strada e ho sentito empaticamente una tristezza che difficilmente provo a guardare gli esseri umani.
I manichini erano lì come presenze e non mi interessava nemmeno sapere cosa aiutavano a vendere, d’altronde in quella strada di Once avevo scoperto che potevano esistere in quanto manichini e il loro uso successivo non è altro che una maschera o il modo in cui anche loro devono campare.
Un po’ come gli uomini.

mercoledì 30 marzo 2011

Contro i trolley


L’avevo portata al Maxxi di Roma, ci conoscevamo ancora da poco perché potesse cercare di impormi  i suoi gusti.
Così potei esprimermi liberamente sulle opere anche se non avevo un diploma in arte e non avevo frequentato per un anno un master in arte latinoamericana.
Mi piaceva un opera fatta con dei tessuti e carte geografiche, semplicemente perché mi piacciono le carte geografiche e i mappamondi, certo era solo un opera di design ma in fondo tutta l’arte contemporanea è figlia illeggittima del design.
E mi piaceva anche un'altra opera in cui c’erano valige di ogni tipo accatestate una sopra l’altra.
Mi piacevano le valige ammucchiate a formare una  montagna, valige di pelle dalle diverse tonalità di marrone, bauli e cappelliere scomode che contemplavano ancora il bisogno di fattorini sulle banchine dei binari e che evocavano transatalntici.
Valige con sopra stampati destinazioni ed itinerari.
Quando non si viaggiava ancora low cost e con i compattissimi trolley di ora.
I trolley sono comodissimi e brutti, lucidi in poliuretano espanso, ne trovi di ogni colore come se la gamma dlle tinte possibili desse al viaggio un supplemento di vivacità.
Con due o quattro ruote, con maniglie espandibli, ogni volta che li vedo li associo a capelli ingelatinati e giacconi alla moda, a calcitatori in trasferta o a divise da lavoratore in viaggio.

martedì 29 marzo 2011

Contro i trafficoni


Ogni volta che prendo un Eurostar trovo qualche trafficone.
Spesso hanno l’ accento del sud, molte volte calabrese, al cellulare fissano ad alta voce appuntamenti con funzionari di enti pubblici, parlano di consiglieri regionali, assessori provinciali, imprenditori e sognano incontri con sottosegretari.
Confessano di aver parlato con il capo della forestale, con le associazioni di categoria, con la confindustria e la confagricoltura,  vogliono far mettere in contatto indusustiali con figli di notai.

Loro tipica accortenza è essere vaghi, parlano di cose da discutere, di problemi da risolvere, usano frasi come…
“È una cosa riservsta a te personalmente, ne parliamo dopo, lo vediamo per un ora e parliamo di quell’affare…”
usano molte volte stai tranquillo e tendono a spezzare le frasi sul più bello lasciandole in sospeso, ogni tanto fanno qualche battuta criptica e poi ridono, dicono cose come “marca quel tuo amico ad uomo”.
Non sono nella prima sfera, altrimenti non viaggerebbero in seconda classe e non parlarebbero cosi liberamente e a voce alta, non sono protagonisti né comparse da Gomorra, sono solo persone che vivono sulla mastodontica spesa pubblica nazionale
Parassiti della casta, quasi simpatici nel loro italiano da avvocaticchi.
Esistono come altra faccia dei talk show televisivi in cui la gente si lamenta e chiede più lavoro e più Stato, senza pensare che piu stato significa più gente come loro.
Sono convinto che anche loro fra le dieci cose per cui vale la pena vivere metterebbero il tramonto in qualche spiaggia del sud, una bella cena a base di pesce fresco e il primo bacio dato all’amore della loro vita.



domenica 27 marzo 2011

Contro le dieci cose per cui vale la pena vivere

Saviano ha fatto cosa buona e giusta con Gomorra, rispetto la sua funzione civile, ma non il suo nuovo ruolo di divulgatore di buoni sentimenti.

Ora ha scritto le dieci cose per cui vale la pena vivere, non è una grande novità.

Alla fine degli anni '80 sul giornale satirico Cuore chiedevano ai lettori le tre cose per cui vale la pena vivere, era un sondaggio interessante, non c'era nemmeno Internet e la gente mandava delle lettere alla redazione.
Ogni settimana si aggiornava la classifica, in testa era la figa o il sesso, al secondo posto il comunismo, al terzo gli amici o la mamma, da qualche parte nella top ten c'era vedere morire Craxi.
Era una classifica che rispecchiava una parte d'Italia di allora non rovinata dal berlusconismo, una sinistra che non aveva timore ad associare figa e politica, che sapeva essere cattiva in modo giocoso.
Il giornale era diretto da Michele Serra, oggi firma  di Repubblica.
Nell'elenco  di Saviano c'è la mozzarella di bufala di Aversa, fra l'altro uno come lui conosce bene la situazione del Casertano e dovrebbe sapere che la mozzarella da consigliare la trovi solo in alcuni posti ed è preferibile prenderla nella Piana del Sele, il fratello orgoglioso, l'amore al sud di pomeriggio ed altre cose piatte, ovvie, ecumeniche; talmente verosimili da essere sicuramente false.
E su Repubblica i lettori diligenti e militanti, quelli dei post-it e delle foto in ufficio, mandano i loro dieci motivi per cui vale la pena vivere, imitando senza molta fantasia quelli di Saviano, declinandoli in gradazioni differenti di retorica.
Così ci trovi il caffè con l'amico e il tramonto sulla loro spiaggia preferita, ascoltare una certa canzone, di solito di successo, o il sorriso di qualcuno.
Nessuno più che scriva la figa in senso generico come su Cuore, ora di solito è una determinata figa, la tua donna, la monogamia essendo diventata una sorta di  bandiera da esporre.
La gente si autocensura per diventare specchio di un'onestà ipocrita.
Niente spinelli o canne, erano in buona posizione al tempo, niente rapporti a tre, niente alcool.
Nessuno che scriva qualcosa di cattivo, che auguri morte e distruzione, che se la prenda con il suo peggior nemico, eppure il male nascosto c'è.
C'è quando Saviano commentando le liste dei lettori, se li ingrazia dicendo "questo è lo specchio di un'Italia allegra e pulita".
Come se il mare e l'amore per i figli siano appannaggio di una parte del paese.

sabato 26 marzo 2011

Contro i complottisti dello sbarco sulla Luna

Sono sempre stato un fanatico dello sbarco sulla Luna, della missione Apollo, delle straordinarie imprese di uomini che avevano il coraggio di rischiare molto più di adesso.
All'epoca il 1985 era un anno possibile di arrivo su Marte, il futuro non prevedeva internet ma la colonizzazione spaziale era ipotesi pressochè certa.
Per questo detesto i complottisti, quelli che sostengono che sulla Luna non siamo mai arrivati e portano le solite ridicole prove: la bandiera che si muoveva mossa dal vento, l'ombra provocata dall'uso di proiettori, fino a dire che la scena dello sbarco è stata girata da Kubrick adducendo come motivazione che  l'anno prima aveva girato Odissea 2001 nello Spazio.
Pochi mesi fa litigai con la mia ex su questo, lei era ottusamente e inspiegabilmente certa che sulla Luna non fossimo mai arrivati, non aveva letto libri che spiegano come sia impossibile aver architettato una cosa del genere, non aveva conoscenze specifiche sull'argomento, non sapeva nulla degli anni di ricerca sovietica e statunitense, probabilmente aveva visto solo un documentario sensazionalistico  sull'argomento e si era fermata lì.
Era mossa dalla tipica diffidenza anti-yankee di ogni sudamericano, sia esso no-global o conservatore.
Addirittura sosteneva che lavorando nel settore audiovisivo dovevo rendermi conto che era stata tutta una macchinazione, metteva in dubbio le mie capacità visive, ora so che avrei dovuto arrabbiarmi molto di più.
Non conosceva la storia di Von Braun e degli ingegneri che avevano lavorato per il terzo Reich, non aveva letto gli splendidi reportage della Fallaci sull'argomento, per lei la Luna era solo un balocco da immaturi, un banco di prova per la sua arroganza.
Meglio credere cinicamente che non sia mai esistito nella storia un momento in cui gli uomini avevano fiducia nelle cose, nel futuro, e in parte anche negli altri uomini, è questo l'atteggiamento dei complottisti e il mondo ne è pieno.
Per loro il fatto che sulla Luna non ci siamo più tornati è la prova che non ci siamo mai andati.
Non sospettano che allora si era pronti a rischiare con razzi rudimentali e computer della stessa potenza di un Commodore 64.
Stamattina in una libreria di Milano ho trovato il reportage di Mailer sull'Apollo 11 e dentro le bellissime foto della vigilia, della partenza del razzo, dello sbarco, compro il libro con l'entusiasmo che si merita la Luna, è un librone maledettamente pesante e me lo sono portato dietro per tutto il giorno.
Sono in pace con me stesso e perdono perfino i complottisti, con il loro cinismo non sanno cosa si perdono.

mercoledì 23 marzo 2011

Contro gli esperti militari

Li tirano fuori ogni tanto quando scoppia una nuova guerra.
Sono i classici nerd che fin da bambini giocavano con i soldatini di piombo, strateghi militari, esperti di aerei e carrarmati, di cacciatorpediniere e portaerei senza aver mai combattuto.
Sono direttori di riviste pressochè sconosciute, hanno la venerazione del comando e delle forze di intelligence, portano occhiali e spillette militari sulle giacche, oppure sono direttori di istituti dai finanziamenti sospetti.
Vanno in televisione a qualsiasi ora del giorno, sapendo bene che questa è la loro occasione e che saranno poi rimpiazzati quando la fase calda finirà.
Ci sono alla mattina svegli all’alba come parodia di militari a mostrarsi efficienti nelle analisi e nele spiegazioni dei raid notturni, restano per il pomeriggio dentro contenitori che di solito si occupano di cronaca rosa e nera, spiegando la guerra a conduttrici starlette e polemisti da strapazzo.
Fanno incursioni veloci in telegiornali e programmi di informazione teoricamente più seri e rivolti a un target di lettori di quotidiani, quindi li trovi a porta a porta davanti a lavagne colorate che ricordano certe cartine geografiche delle loro infanzia.
Dormono quattro ore a notte, soffrono d’ansia perché hanno paura di perdersi un collegamento radiofonico o di fare una valutazione errata delle forze in campo.

lunedì 14 marzo 2011

contro il nucleare e le radio romane

Sono in auto, cerco una stazione in cui si parli del Giappone, non riesco a seguire le notizie da un video né in televisione e nemmeno in streaming su internet, c’è troppa vicinanza e morbosità.

Mi informo con gli spacci di agenzia dai giornali on line ma sono lenti e discontinui, sto cercando un filo continuo di aggiornamenti sulla centrale nucleare, qualcosa che abbia la forma di un racconto.
Qualche giorno fa sentii da un radiogiornale che erano stati trovati quattro treni, disse proprio così lo spekaer: “i quattro treni scomparsi dopo il terremoto sono stati ritrovati, tutti i passeggeri sono salvi”, una frase bellissima da ascoltare in auto mentre guidi solo, una frase che ti dà fiducia nelle cose, non so come spiegare, e ti scaraventa in contatto con il mondo.
Il nucleare, chi mi conosce, mi ossessiona, un po’ come la guerra fredda, forse perche nel 1986 avevo dieci anni, forse perché sono nato in epoca di doppia superpotenza e della minaccia nucleare, forse perché da bambino ho visto il film "The day after" e quella luce che spegneva le auto e che sembrava un nuovo sole maligno me la sognavo di notte, e poi c'era War Games, e cose del genere.
bombe atomiche, bunker e contatori geiser erano il nostro pane quotidiano.
Però negli ultimi tempi tutto era diventano meno acuto, il nucleare era diventato per me solo uno sterile dibattito politico di cui sentivo gli echi lontani.
Ora invece con il rischio di fusione di un reattore nucleare tutto è più chiaro e vicino e terrificante, altro che quello spot degli scacchi bianco e neri in cui la questione del nucleare si trasforma in un ponderato dibattito filosofico.
Intanto giro stazioni radio  e trovo discussioni su raggi laser, non si tratta però di un nuovo metodo per spegnere i reattori, è il raggio laser che avrebbe colpito il portiere della Lazio Muslera e provocato l’errore che ha aperto le marcature nel derby di ieri.
Tutte le radio parlano di Lazio e Roma, e lo continueranno a fare fin quando non arriverà l’apocalisse, e lo faranno anche ad apocalisse in corso purchè ci sia abbastanza corrente elettrica per far andare microfono e segnale, e qualche tifoso che guida furgoni o sta in casa chiamerà per dire nome, quartiere e azzardare perfino analisi tattiche.
Penso che Osho abbia avuto troppo fiducia negli uomini e in ogni caso la questione del raggio laser è davvero ridicola, lo sanno tutti che Muslera è una pippa.

Contro le siciliane fuori sede




Le incontro negli autobus, il mio quartiere ne è pieno.
Vanno alla Luiss, università privata della confindustria, sono studentesse siciliane super figlie di papà, un paio sono anche nel mio palazzo, abitano giusto sopra di me e camminano con i tacchi in casa mentre fanno la lavatrice di notte.
Uscendo le incontro per caso nelle scale, mi guardano con diffidenza, una volta addirittura una accelerò il passo perchè temeva di essere stata pedinata fin dalla fermata dell’autobus, evidentemente non mi aveva riconosciuto per il cappuccio della felpa che tengo a volte tirata su per sentirmi più figo.
Accelerando il passo finì che le cadde un assorbente dalla borsetta, voleva far finta di niente e continuò a incedere veloce cercando di sgattaiolare nel portone, ma con un balzo la raggiunsi.  Le dissi che aveva perso qualcosa, mi disse grazie e  corse su per le scale, presi l’ascensore con somma soddisfazione.
Comunque ste siciliane scopano sicuro con tipi che già da studenti hanno l’aria di giovani lavoratori ambiziosi, facce levigate dal sapone, ogni tanto li ho visti scendere le scale con camicie ben stiratem sono Ia classe dirigente del futuro, hanno sguardi da farabutti , da prepotenti
Devono essere delle gran porche le siciliane, non ho dubbi.

domenica 13 marzo 2011

contro un'attrice


Lunga tavolata in una pizzeria.
Di fronte c’è un attrice, occhi azzurrissimi, bionda, lineamenti pressochè perfetti, magra
Esordisco facendo un paio di battute sulla sua insalata, mangia una salutare insalata mentre sul tavolo ci sono antipasti fritti e pizze, ride senza lasciarsi andare, vuole parlare d’altro.
Vuole ricordarci che è attrice, parla di Brecht e dice di avere un idea di fare un laboratorio da qualche parte su durrenmatt, dice che i giovani d’oggi, lei avrà si e no 26-27 anni, non conoscono nemmeno Hitler, qui mi sembra che esageri, poi inizia a attaccare in modo subdolo colleghe e a giudicare spettacoli visti in circuiti minori.
È la classica attrice, vanitosa che si professa umile, stupida fondamentalmente, con un ego sproporzionato

Si macchia con l’olio i jeans  e chiede ad alta voce della farina per togliersi la macchia, è un rimedio della sua nonna del nord, dall’accento intuisco che è veneta, alla fine ci mostra anche le gambe magre e atletiche salvate dall’unto, tutto quel che fa mi sembra una cattiva recita.
Poi cominicia a raccontare quello che più le preme, un provino  vinto qualche giorno fa
Dice di esserci andata con il suo maglione più brutto per fugare dubbi sui motivi per cui sarebbe stata presa.
Mi sembra che fosse molto sicura di spuntarla.
Dice che ha fatto capire che non le fregava mica di avere la parte, eppure è stata scelta fra partecipanti in tiro e con le tette strizzate mentre lei si presentava come una sorta di suora laica.
Quel suo maglioncino dovrebbe essere la prova lampante che ha vinto graize alle sue capacità e non ai suoi attributi.
La guardo di nuovo e penso che quelle sue tette non hanno bisogno mica di essere strizzate, come facevano le sue rivali.

a un certo punto sul tavolo recupera un innocente biglietto che promuove una scuola di burlesque e inizia a prendersela con il burlesque perché istigherebbe le donne a fare le puttane, e ad essere felici di sentirsi tali.

Per fortuna la cena finisca prima che possa scagliarsi contro Ruby  o le Veline, sarebbe un finale troppo scontato.
Questo suo insistere sulle sue qualità morali è un chiaro segno della sua troiaggine, non posso fare a meno di pensare questo mentre si alza e cammina consapevole del suo strabiliante paio di tette nascosto da un maglioncino leggero girocollo.


sabato 5 marzo 2011

contro De Gregori

De Gregori era un idolo della mia adolescenza e come altri idoli è invecchiato male, non bisognerebbe mai vederli invecchiare i propri idoli.
Avevo come punto di riferimento lui, Moretti, Michele Serra.
Ora De Gregori ha fatto pace perfino con Venditti e ci ha fatto un paio di canzoni assieme, poi è caduto nella trappola delle reunion finendo in un tour patetico con Dalla.
Duetti imposti da case discografiche e dai conti da pagare.

Ora se sento le canzoni di De Gregori ci trovo la retorica che allora mi piaceva, il ricorso ad espedienti letterari facili che nella mia ignoranza trovavo intelligenti, la povertà degli arrangiamenti, salvo il primo De Gregori, quello dai testi enigmatici e alcuni pezzi più maturi che restano belli, cose tipo La donna Cannone o Il canto delle sirene, ma per il resto è tutto da gettare via.
Passano ancora alcuni pezzi brutti alla radio, cose tipo Titanic con un accento romano insopportabile, e quel parlare delle classi in modo cosi schematico, oppure Nino che gioca a pallone, pezzo buono per incartare filmacci alla salvatores o alla Aldo Giovanni e giacomo.
Pezzo fatto per evocare emozioni facili, universali e in fondo false.
Molto meglio le piccole canzoni di Carboni sui tossici a  bologna, su gite al mare disperate.
Meglio Sergio Caputo con quei fiati suonati con le tastiere perché non avevano abbastanza soldi per farli veri nel suo primo disco, e i suoi personaggi falliti e improbabili che riflettevano Milano negli anni ’80 piuttosto che quel trombone di Guccini con il suo ego straripante e le sue disquisizioni politiche noiose.
Non è un caso che sia finito a fare l'attore per Ligabue e Pieraccioni, era marcio giù allora.

martedì 1 marzo 2011

Contro lingua e amore contemporaneo

Libri come si scrivevano prima non si scriveranno piu e non è colpa nemmeno di chi li scrive.
Non è colpa delle case editrici, troppo facile prendersela con loro.
La lingua italiana è semplicemente più povera, leggo vecchi romanzi scritti negli anni ’50 e ’60, leggo le traduzioni di romanzi degli anni ’60 e mi accorgo che certe espressioni non si possono piu usare, sembrerei ridicolo, lo sarei;
Sarebbero parole non mie, eppure quei libri sono perfette, esprimono molto meglio quello che succede dentro e fuori.
Un po’ lo stesso accade nelle canzoni d’amore, la semplicità e l’ingenuità di certi pezzi di Endrigo, Modugno, Paoli mi rendono disarmato, non si puo più scrivere così perche quell’amore li non c’è più, finito, tolto di mezzo.
Come l’amour fou, una volta ne parlavo con un mio amico, c’era in radio il pezzo di califano rifatto dai tiromancino e a un certo punno la canzone dice non lasciai di certo un amore folle in un tempo piccolo.
Ci chiedemmo se l’amore folle esiste, se è ancora possibile, rispondemmo che era cosa rara.
L’amore folle, l’amour fou dei film francesi anni ’60 è sparito, non esiste, può esserci solo in qualche sceneggiatura ma stona, sembra falso, artificioso perché non è dei nostri tempi.
Non c’è tempo piccolo, non c’è amore folle.
Ora abbiamo Jovanotti che dice parole che riflettono amori abitudinari e noiosi, facili come bicchieri d’acqua da bere la mattina, amori da bravissimo ragazzo.
Oppure prova a fare metafore  e citazioni da cultura popolare che fanno scadere l’amoee nell’ordinario.
Forse il segreto sta nell’accettare la cosa, una mia amica mi dice sempre che l’amore è sopravvalutato.