giovedì 14 febbraio 2013

contro Europa occidentale


Sono in un taxi giallo a Minsk.
Non ho ancora avuto il tempo di girare la città ma intuisco da ogni dettaglio che intravedo dal finestrino che non siamo nella Comunità Europea né nei  paesi che aspirano a esserne inclusi.
Luci lampeggianti  blu e verdi sotto cupole di plastica, uscite delle metro che sembrano propaggini di astronauti che non abbiamo avuto il coraggio di costuire negli anni ’70.
Domani vedrò palazzi dello sport che imitano sottomarini e case allungate che desiderano essere scambiate per barche a vela.
Per ora resto seduto dietro il taxi guidato dal padre di Ilia che ci sta riportando a casa dopo la sauna.
Nessuno parlava inglese, quando mi ascoltavano mi fissavano le labbra, domani sarò osservato come un alieno nei vagoni della metro.
"Sono un uomo"mi hanno detto quattro russi, bevevamo in sincrono bicchieri di vodka nelle pause , presumevano che in quanto italiano mi fossi dimenticato come si beve.
Hanno giustamente poco rispetto per lo straniero, qui è ancora un forestiero, vezzegiato e deriso.
Scherzano sul loro presidente e sulla mancanza di democrazia paragonandola alle ossessioni per la figa di Berlusconi, quando ci si spinge troppo in là nella critica interviene il boss della sauna, un omone altro più di uno e novanta, grosso, dal sorriso poco rassicurante, il gestore dell’acqua calda sostiene che i media esagerano e da una cosa piccola ne viene fuori una grande, le faccende non vanno così male, taglia il discorso politico con un brindisi delle loro parti.
Che tutto resti uguale, traduce Ilia, mi spiega che un giorno puoi essere un principe, l’altro un povero, meglio accontentarsi, che tutto resti uguale, in fondo le cose potrebbero anche peggiorare, anche se di principi attorno non ce ne sono.
Brindo, so che si tratta di una resa alla mancanza di libertà ma condivido la frase dal punto di vista esistenziale, l’unico che mi interessa, sono sollevato che si cambi argomento.
Alla fine si mettono a intonare canzoni sulla guerra.
La grande guerra patriottica qui la chiamano, mica la seconda guerra mondiale, canti sui partigiani, domani andrò a vedere un museo in cui ci sono affisi manifesti di proaganda e poi vecchi fucili e cannoni, uniformi, medaglie, apprezzo l’orgoglio russo e penso con fastidio ai musei dell’Europa centrale che raccontano di liberazione dall’oppressione sovietica saltando e dimenticando completamente le premesse, la liberazione.
Sputo mentalmente sull’Ungheria fascista ben prima di essere occupata dai tedeschi, sugli ustascia croati, semplicifico perchè ho bevuto , confondo  personale e generale, sono debole e in preda alle suggestioni di scadente vodka liscia.
Me ne sto in un angolino del taxi e sorrido a ogni cosa, ai cumuli di neve ben sistemati sui lati della strada, al finestrino rigato dall’acqua, all’effetto della condensa sulle luci esterne, al mio pessimo inglese che qui sembra un dono del signore oppure un incantesimo del diavolo, a seconda di chi ti ascolta.
Sorrido e mi lascio trasportare, per la prima vota dopo anni mi sembra di capire il senso del viaggio del non farsi comprenere e del non comprendere bene le cose attorno e immaginarsele.
Sono euforico ma so che questo coraggio passerà domani quando camminerò per le strade e dopo un po’ resterò indifferente a tutto, mi coglierà una nostalgia improvvisa di una casa che non c’e da nessuna parte e mi vergognerò della banalità di questa riflessione.


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