giovedì 22 marzo 2012

Contro i punti panoramici


La gente ha scritto sopra le serrande chiuse no al degrado, la crisi economica ha chiuso i negozi e ha salvato il quartiere.
Qui non hanno aperto ancora enoteche né i bar dove mi rifugio a scrivere in certi pomeriggi insulsi, qui le auto non passano perché non c’è motivo alcuno per passare.
Siamo in un paesino lungo trecento metri, da una parte e dall’altra fervono periferie operose piene di immigrati.
Le case sono dipinte di giallo e hanno persone verde acceso o pallido, non superano mai i tre piani, alcune volte le persiane sono mezzo sfondate ma non provo alcuna tristezza nel constatarlo.
Da quando mi sono messo a scattare foto da amatore, osservo le cose con più interesse, mi torna la voglia di guardare terrazze, dettagli di edifici architettonici, volti di persone.
Mai visto tante magnolie in fiore, certe vie sembrano post belliche.
Alcune strade costeggiano la ferrovia, nascondono storie più interessanti, vedo un paio di palazzone dove capistazione vivevano cullati dal rumore rassicurante dei vecchi treni.

La Casilina era una strada che vedevo dall’Intercity quando ero all’università e tornavo a Roma certi lunedì.
Ogni volta il semaforo fermava il treno davanti a un negozio di parrucche dai colori tristemente sgargianti, mi sembrava un posto derelitto perché ero giovane e stupido, ora finalmente sono passato dall’altra parte del finestrino, c’è voluto troppo tempo.
Questi posti mescolano livelli diversi di verità e di tempo.
Ci sono resti antichi e negozi che vendono statue posticce che sarebbero state perfette per la veranda di mia nonna, qualcuno ha provato a fare una specie di giardino pubblico.
Bene comune, si dice così, va di moda l’espressione, ci hanno piazzato una panchina, due tavoli, addirittura una griglia per barbecue enorme, un cartello dice che l’esperimento è fallito causa inciviltà di pochi, l’idea era bellissima ma non ha firma.
Un giardino che si affaccia sui binari e sui palazzi anni sessanta, alle spalle l’acquedotto romano che arriva dentro la città quasi dimenticato.
Preferisco questo posto al Pincio, al Gianicolo, al Quirinale, al facile panorama delle terrazze troppo consumate dagli sguardi di tutti gli amanti.
Roma ha troppe cose, se le lascia per strada, sono venuto qui per raccoglierle.
Così faccio con il mio passato, mi metto a contemplarlo, poi quando devo fare un gesto rischio di sembrare ridicolo, sono esitante se faccio una carezza, non riesco a dire quello che mi passa per la testa e allora pronuncio frasi sbagliate.
Un paio di baci strani sulla guancia, un ciao accennato male, il tentativo di non concludere mai del tutto, di finire con dei puntini di sospensione.
Non sono bravo a dire addio.

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