martedì 13 marzo 2012

Contro la Coca Cola


Vicino alla mia auto c’è una bottiglietta di Pepsi, occhio e croce è anni ’60, massimo ’70. Non si capisce cosa ci faccia intatta sul selciato, dentro è piena di terra e c’è qualche conchiglia perfino, forse è scaturita dal sottosuolo come certe pietre greche antiche che recuperavamo da bambini.
Allora era facile scavando un po’ trovare pezzi di vasi e monete, eravamo a poche centinaia di metri dalla zona archeologica, il terreno era pregno di piccoli tesori, però noi bambini eravamo indifferenti all’antichità e molto più interessati al passato prossimo.
Facevamo collezione di tappi di bottiglia, di acque minerali ora scomparse, di gassose fallite per carenza di controlli sanitari, di bibite di varia natura. Bevevamo solo Cola Cola, la Pepsi era perdente e cercava inutilmente di rilanciarsi saltuariamente spendendo miliardi in testimonial celebri e campagne pubblicitarie sfavillanti.

Sono sull’Appia Antica, tutti i posti attorno a me sembrano fermi agli anni della bottiglietta.
Vivai, trattorie che sono sul punto di chiudere, ci sono pochi stranieri, qualche bici indolente.
Una ragazza bionda di diciott’anni esce da un cancello con una busta in mano, aspetta un postino che non può passare, è una villa da commedia all’italiana, prima ci vivevano attori e attrici di successo, ora l’hanno comprata piccoli industrialotti corruttori, li ho ascoltati parlare in un accento veneto incongruo con i resti romani.
La ragazza è bionda e magra, è bella come deve essere sua mamma.

Un uomo ricco, soprattutto se discretamente piacente, ha molte più possibilità di accapararsi una donna bella, dalla loro unione nascono di solito esseri di alta qualità estetica, e anche se nascono con meno bellezza hanno maggiori risorse per migliorarsi, inoltre le ragazze ricche da bambine fanno più sport, hanno più tempo per allenare il loro corpo.
Le figlie dei ricchi hanno molte più possibilità di essere belle che quelle dei poveri, è questa la vera ingiustizia, la vera differenza di classe, ma di queste cose Santoro non parla mica nei servizi sulla crisi in cui ci si lamenta della difficoltà di arrivare a fine mese.

Sono qui perché volevo vedere la tomba di Cecilia Metella, è imponente e vuota, si paga un biglietto per visitarla ma non c’è alcuna ragione valida per spendere dei soldi, la cassiera è sola all’entrata e con i capelli laccati,  una pettinatura da comparsa di Fellini.

La bottiglia è un miracolo, non ha alcun tipo di scheggiatura, è solo impolverata, il marchio è leggermente stinto, nella parte inferiore spicca una scritta, contiene co2, da questo avvertimento strambo deduco che è è vecchissima.
L’ informazione sull’anidride carbonica è davvero datata, oggi i marchi scrivono cose molto più dettagliate edalla pretesa scientifica, del tipo niente grassi idrogenati, oppure specificano in modo perentorio no coloranti.
Quando ero bambini i coloranti erano un pregio e non un difetto, le aranciate avevano colori bellissimi e artificiali.
La bottiglietta la prendo in mano e poi decido di metterla nel portabagagli della mia auto, non posso lasciarla lì esposta alle intemperie o al rischio di essere scovata da qualche maledetto operatore ecologico con il piacere della distruzione.
Ho sempre avuto una passione per le cose vecchie, siano oggetti d’arredamento, auto d’epoca, persone che non sono più nella mia vita.
Passione sempre teorica perché in realtà non ho mai comprato quella 2CV nera e bordeaux di cui favoleggiavo l’acquisto né mi sono mai seriamente informato sui prezzi di una Jaguar anni  ’70, come un giorno avevo solennemente promesso.
Allo stesso modo gli oggetti sui mercatini li ammiro e li lascio dove stanno, la mia casa ha il solito mobilio Ikea dei vostri appartamenti.
Avete presente quelle foto private che alcuni vendono nei mercatini, recuperate da solai e cantine, con sopra dediche, sorrisi, amori finiti per consunzione temporale? Quando le guardo ne sono attratto ma poi lascio tutto dov'è.
Ho paura di resuscitare vecchi fantasmi, di toccare cose che non mi appartengono.

La bottiglia però decido di prenderla, intendo lavarla per bene quando arriverò a casa.
Una ragazza mi consiglia di immergerla in una bacinella con dentro dell’acqua bollente ma temo per la sua incolumità.
Una soluzione che ci sembra di compromesso è metterla nell’acqua fredda e aggiungerci poco a poco con un mestolo dell’acqua calda, nessun detergente, non ce n’è alcun bisogno.
Così maneggio il mio passato, remoto e prossimo, con un tatto eccessivo, con una preoccupazione assillante di aver commesso errori, di commetterli tuttora.

Per evitare che di questa operazione sacra non resti nulla ho deciso che tutto vada ripreso, l’intero procedimento.
Penso alle labbra che hanno bevuto quella bottiglietta, turisti d’altri tempi dalle disponibilità economiche notevoli, frequentatori di feste da dolce vita, ultimi bagliori di un’epoca d’ora che sull’Appia antica è finita da un pezzo.

La bottiglietta poi finirà su qualche ripiano della mia casa, oppure la porterò dietro raccontando la sua storia, o chiedendo ad ognuno di immaginarla.
Sarò sempre attento a che nessuno si avvicini troppo, ne sarò geloso.
Per una volta sembra che la Pepsi abbia proprio vinto.

1 commento:

  1. bel pezzo, bravo.... potrebbe essere lo spunto per un film....

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