mercoledì 4 aprile 2012

Contro lo specchio


Ognuno si immagina come può quando ha dodici anni e si guarda allo specchio, io ad esempio pensavo di essere una specie di  eroe, così mi vedevo, non c’è nulla di strano, deve essere una fantasia molto infantile.
Ci si guarda fissi allo specchio, non si vede il volto un po’ troppo roseo e inoffensivo, con una sorte di mollezza nel mento che non promette nulla di buono, non si giudicano le proprie debolezze e timidezze, noi siamo degli eroi e nessuno lo sa.
Un eroe virile e capace di salvare qualcuno con un intervento tempestivo, non avevo alcun modello da imitare, ma ritenevo che al fondo di me ci fosse quell’eroe e che avrei dovuto dargli solo il tempo di manifestarsi.
La cosa continuò fino ai sedici anni, poi si interruppe più o meno di colpo.
Lo specchio a quel punto serve per capire come appari agli altri e non più a te stesso, ci si sistema i capelli, si combatte la barba che spunta come erba fastidiosa.
Da allora sarà sempre così fin quando non si darà altro che un’occhiata distratta allo specchio e si sognerà il giorno in cui non avremo la nostra immagine riflessa.
Cercare la propria immagine attraverso lo sguardo altrui invece è un vizio difficile da estirpare, è la cosa peggiore che si può cercare nell’amore, errore che ripetiamo di continuo.
Finisce sempre che non ci piace quello che osserviamo, e allora quell’amore diventa la nostra maledizione perché nessuno può accettare se stesso, perché tutti dovrebbero sbarazzarsene una volta per tutte.
Da ragazzo dopo la fase del supereroe mi figuravo come uno che avrebbe condotto una vita da bohémien, non so perché avessi queste assurde premonizioni, non c’era alcun segno ed infatti non lo sono mai diventato.
Mi sono visto per un periodo come un malinconico, compravo maglioni scuri e alti fino al collo, parlavo di scrittori e pittori con l’entusiasmo provinciale e idiota verso la cultura e l’arte tipico dello studente.
Una ragazza una volta mi disse che sembravo un cartone animato, le piacevo perché ero buffo, avrei dovuto immediatamente capire che non c’era alcuna speranza di esibirmi come intellettuale esistenzialista o presunto tale.
Non ho il volto affilato e magro dell’attore di teatro o del cantante che ama Gainsbourg, forse nemmeno avevo l’interesse a diventarlo, in realtà una parte oscura e istintiva di me captava l’imbroglio del ruolo, il trucco.
Comico, questo è il mio marchio di fabbrica, gran naso che occupa la faccia, voce con timbro basso e  accento campano poco identificabile che mi porto appresso incurante degli anni passati a Roma e Milano, mimica espressiva tipica della mia terra, con le mani a gesticolare senza controllo e il volto pronto ad assecondare ogni minima sensazione.

Ho un senso dell’umorismo da improvvisatore, le mie ragazze le ho conquistate quasi sempre ridendo e mostrando sempre il lato di me che non condividevo, che avrei voluto eliminare.
Continuavo a illudermi di essere altro, di poterlo diventare quando ne avessi avuto l’occasione; ora vi faccio ridere, pensavo, ma dentro di me ho infiniti tesori da condividere.
Un giorno resterò a letto dopo l’amore e mi mostrerò intollerabilmente vinto e non sarò dolce nemmeno un po’ e vi ferirò ma senza nessuna malizia, per mia natura.
E nel ferimento vi rivelerò un sacco di segreti sull’esistenza e voi vi rivelerete a me, ma non con le parole, con i vostri dettagli che dicono molto più delle vostre parole.
Stupide illusioni dell’ego, solo quando scrivo posso dichiararmi guarito ma ne sono schiavo, ne sono succubi tutti, compresi i falsi maestri e i filosofi, non ho ancora conosciuto qualcuno che non fosse imprigionato da se stesso.
Ho riservato sempre in privato alle ragazze la mia malinconia  e nemmeno fino in fondo, l’ho sempre centellinata, ho sempre cercato di illuderle e di illudermi che fosse malinconia di basso rango, noia ordinaria degli esseri umani.
Mi davo dei piani e dei programmi per poterla risolvere, ed a volte ci sono riuscito per periodi lunghi, ma poi ricadevo nell’inutilità di ogni azione.
Tutto ciò che è bello in fondo è inutile e vano ma il mondo fa tutto per non accettarlo, punta all’utile e al funzionale, riempie la sua agenda di appuntamenti che non lo portano un passo più in là.
Si informa sui giornali dei prossimi passi, di cosa accadrà nell’imminente futuro, sbircia dalle cronache.
Ora di tutto quest’inutile ho la chiara coscienza, devo solo fare in modo che consumi ogni residuo di eccessiva volontà.
Abbandonarsi con la coscienza al minimo, attenta ai particolari, non scrivere più cose simili perché se le scrivi significa che hai dedicato troppo tempo al pensiero.
Nel frattempo accetto il comico, salgo sul palco, provo a far ridere, capisco cosa significa indossare i panni e poi smetterli.

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