L’ultima
volta che sono stato qui era dieci
anni fa.
Ora ci sono passato perché
volevo vedere la faccia della gente che c’è.
È pieno di calabresi, pugliesi, campani, come sempre,
arrivano con autobus, treni; per due giorni, all’andata e al ritorno,
eviteranno accuratamente di dormire.
Quelli che hanno fatto la nottata viaggiando li riconosco
dall’aria stanca e annoiata, sono seduti sul marciapiede, hanno capelli ben sistemati
come se fossero venuti ad una festa, chissà cosa si aspettavano, da cosa sono
rimasti delusi.
I fuori sede si distinguono perché conoscono il territorio,
si mostrano comprensivi con i loro amici venuti da fuori, sanno come comportarsi
in piazza, conoscono i trucchetti per vivere al meglio la loro gioventù.
Sul palco c’è una cantante italiana vestita come Amy Winehouse,
ventenni con fattezze da mezzo ribelli conoscono a memoria le parole delle sue
canzoni e non hanno vergogna di pronunciarle, non pensavo che fossero così
sentimentali.
Suonano i soliti gruppi, quelli che spacciano il rock come
qualcosa di rivoluzionario, sono i primi a non crederci.
Ci sono rapper che iniziano a diventare vecchi per rappare, front man di gruppi che
iniziano a diventare vecchi per portare ancora i capelli lunghissimi sulle
spalle, ogni anno un cantante proveniente
dal panorama fumoso dell’indie vince
il biglietto per salire sul palco e cerca di sfruttare al massimo il suo momento.
Anche nella periferia della piazza dove la musica si sente malissimo, il selciato è coperto da
bottigliette di birra.
Bevono molte più birrette questi ventenni di quanto facevamo
noi.
Sto girando dal pomeriggio in feste varie, in centri sociali,
locali, ovunque c’è una allegria che mal si concilia con gli allarmi gridati
sui giornali da politici, sindacalisti e opinionisti.
Ogni volta che per caso m’imbatto in un articolo in cui
qualche esperto ci racconta la crisi non posso fare a meno di pensare quanto
fatturano al Corriere e Repubblica, quanti soldi riescono a guadagnare con la loro reputazione di
esperti economici, se abbiano un contratto forfettario oppure se siano pagati
a cartella.
Quanto i loro articoli siano propedeutici alla
pubblicazione successiva di libretti divulgativi molto richiesti dalle case
editrici.
Ultimamente giornalisti, sociologi e filosofi si specializzano nella interpretazione della crisi, vanno dove girano i soldi, vi trovano la loro realizzazione esistenziale.
Questi ventenni sono nati con la crisi, da quando erano
bambini hanno ascoltato Santoro che monologava di cassaintegrati e gente che non arrivava
a fine mese, ormai sono anestetizzati quando il rapper dal palco pronuncia parole
di troppo buon senso sugli operai.
Con la crisi ci sono nati, con la crisi moriranno
qualsiasi cosa accada.
In ogni posto dove vado la musica che suonano non è
contemporanea, perfino qui, la tizia che scimmiotta la Winehouse che a sua volta copia
qualche cantante soul anni sessanta che non conosco.
pomposamente a un certo punto il conduttore legge in
scaletta che il rock è la musica classica del nostro tempo, e un’orchestra
inizia a fare un brano dei Led Zeppelin mal arrangiato.
I ventenni spesso hanno come gruppi preferiti i Beatles, i Queen,
gli U2, non riescono ad essere contemporanei, non vivono il loro tempo, favoriscono le reunion imposte dalle
case discografiche che si fregano le mani perché la musica di catalogo dà soldi
sicuri e non richiede nessun tipo di investimento.
Con le canzoni peggiori di Battisti che continuano imperterriti a cantare
nei falò, con il loro omaggio contrito
a cantautori che dovrebbero dimenticare, se la stanno meritando tutta la loro mancanza di prospettive.
Spero che ne traggano buon uso.
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