giovedì 3 novembre 2011

Contro il tiramisù di Pompi


A Roma ci sono delle leggende gastronomiche, forse ne esistono in ogni città.
Sono le dicerie collettive per cui un ristorante ha la migliore carbonara, da tal dei tali c’è il miglior gelato e così via.
Spesso quando ci vai resti deluso e non riesci mai a capire se sia stata la fama a peggiorare il posto, un po’ come accade ai cantanti, oppure il problema sia proprio il gusto degli altri.
Preferisci la prima ipotesi, quella tranquillizzante, del successo che dà alla testa, della trasformazione regressiva dall’artigianale all’industriale.
Uno di questi posti è un bar grande e brutto in zona San Giovanni, si chiama Pompi e tutti lo conoscono.
E’ aperto dalla mattina alla sera e la sua fama è dovuta al suo tiramisù, del quale si è autoproclamato addirittura re fin dall’insegna.
Il tiramisù è il dolce con cui sono cresciuto da piccolo, cominciò ad essere di moda negli anni ’80, prima era solo un dolce regionale, veneziano, in quegli anni divenne il dolce nazionale.
Penso che lo divenne perché era facile da fare a  casa, tutti lo possono fare, anche chi non ha mai fatto un dolce, non ha bisogno di cotture in forno, di lavorazioni particolari.
Il tiramisù era un dolce che si portava alle feste, mia madre si era specializzata in quello e nella Charlot, una torta con la panna molto più complessa che nessuno conosce.
In realtà è un dolce da casa, le pasticcerie lo snobbano, lo puoi trovare al massimo nei ristoranti nella versione al bicchiere, forse il successo di Pompi è dovuto all’intelligente scelta di produrlo a ciclo continuo, creando una sorta di monopolio.
M. andava pazza per il tiramisù, scoprii dopo che era una ossessione tutta argentina, quando conobbi sua madre la prima cosa che mi chiese fu il tiramisù.
Non sanno che è diventato di moda piuttosto recentemente, che non è una ricetta tradizionale e di sicuro non è il picco della nostra cucina.
Sono solo savoiardi, caffè, cacao magro e uova.
Feci due volte il tiramisù, una volta per la sua famiglia e un’altra per le sue amiche.
Dovetti affrontare diversi problemi: il mascarpone costa molto e così spesso trovi solo un finto mascarpone e poi i savoiardi non sono uguali ai nostri, sono più scuri e hanno una consistenza diversa.
Di solito poi anche il loro caffè è di scarsa qualità.
Appena entrai a casa sua dopo il viaggio intercontinentale mi preparai un caffè, quando lo misi nella macchinetta vidi subito che non andava affatto bene, era granuloso, aveva un colore troppo chiaro, era mal tostato probabilmente,  dopo due giorni comprai una marca di caffè italiano al supermercato.

M. mi aveva già chiesto di fare il tiramisù a Roma in cambio delle empanadas, ma non avevo il frustino elettrico e alla fine la portai a mangiare da Pompi.
Il segreto dovrebbe essere la leggerezza mentre quello di Pompi invece è densissimo e pesante, hanno creato anche teoriche varianti che in realtà sono altri dolci travestiti da tiramisù per poter sfruttare il successo del brand.
Cose tipo il tiramisù alle fragole.
Lei non poteva notare che era mediocre e sopravvalutato, glielo dissi senza troppa enfasi, lei forse scrollò le spalle, era comunque cento volte meglio di quello che poteva trovare in Argentina.
In fondo è il vantaggio di essere stranieri, tutto ti va bene, ti accontenti con più facilità, finisce che sei perfino più felice.
Ad esempio a M. il tiramisù era piaciuto così tanto che volle tornare da Pompi il pomeriggio in cui doveva partire dall’Italia, prima eravamo andati a informarci per il mio biglietto da visita e avevamo fatto altri servizi, si era scritta tutta con la sua solita pignoleria.
Lei si mangiò il tiramisù e si bevve la sua Coca Cola, io presi un frullato di frutta.
Eravamo tristi, il pomeriggio era nuvoloso, quando tornammo a casa si mise a fare delle ricerche su Internet di nascosto, non voleva che la spiassi.
All’aeroporto era vestita in tuta, volutamente sciatta, la brutta copia della ragazza della sera prima, truccata, in gonna corta e tacchi, avevamo camminato sul Lungotevere, le avevo detto che era una crudeltà tenerla nascosta alla città.
Prima eravamo andati in un ristorante biologico, eravamo raggianti, il cuoco ci chiese come avevamo mangiato e la guardava invidiandomi, ero stupidamente orgoglioso della sua bellezza, solo egocentrismo.
Quando eravamo all’aeroporto la guardai fin quando non superò i controlli di sicurezza, si voltò diverse volte come per controllare qualcosa.
Quando era già fuori dal mio sguardo trovai un bigliettino di carta nei miei jeans, c’era una frase di Barthes che diceva come sia difficile per il linguaggio comunicare l’amore, è sempre troppo povero  o troppo ricco per poterlo esprimere.
Aveva trovato su Internet la frase che cercava, misi il biglietto nel portafogli e uscii dall'aeroporto di fretta per non mostrarmi troppo vulnerabile ai passeggeri in transito.
Da Pompi ho smesso definitivamente di andare.

2 commenti:

  1. Mi hai fatto pensare che quando ero straniera non ho finito per essere felice...quindi la tua teoria con me non ha funzionato.

    Io non sono tutti, infatti non conosco Pompi (malgrado viva a Roma)però adesso mi è venuta voglia di provare il loro tiramisù (così sono sicura di non incontrarti! Uhuhuh!)

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  2. ciao mai andata da Pompi? non è detto che non mi incontri, a volte il critico fa cose contraddittorie

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