mercoledì 2 novembre 2011

Contro il pianto


I citofoni sono protetti da piccole grate che permettono al dito di entrare per bussare all’interno desiderato ma impediscono il furto delle pulsantiere.
Da uno di questi esce una musica distorta dalle sonorità anni ’80, cerchiamo di capire se qualcuno abbia tenuto alzato il ricevitore per sbaglio oppure ci sia un misterioso contatto fra le onde di una stazione radio e l’apparecchio condominiale.
La musica si interrompe per un momento poi riprende, ce ne andiamo senza aver risolto il mistero.
E’ notte e la strada stretta è deserta, tutti i portoni sono di vetro, puoi guardare nell’atrio e scorgere l’inizio della scalinata; mi piacciono le città con portoni di vetro e grandi finestre senza tende, le città che ti danno l’illusione di spiare le vite altrui.
Non sopporto i nostri massicci portoni di legno, la nostra ossessione per le persiane e le serrande, l’importanza data allo spessore delle tende, fatte per proteggerci dai raggi solari e dalla altrui curiosità.
Quando ero bambino mia madre e le mie zie parlavano sempre di tende da comprare, sistemare, lavare.
Era più frequente che le tende fossero chiuse piuttosto che aperte, di sera non c’erano soggiorni e cucine da osservare, tutto era perfettamente sigillato.
Questa città ha dei bellissimi interni, perfetti per girare, dico mentre mi aggiro in un cortile dignitosamente decaduto, cerco di immaginare storie che non siano troppo prevedibili.
Siamo a Belgrado e oggi ho visto due, tre, quattro persone piangere mentre camminavano per strada.
A tutte le persone provviste di un minimo di anima è capitato di piangere in un luogo pubblico, per futili o serissime ragioni.
Ma la donna che piangeva con la mano davanti alla bocca non piangeva a dirotto, piangeva di un pianto continuo, inarrestabile.
E' davvero dura vedere piangere qualcuno mentre continua imperterrito a camminare, senza nemmeno accelerare per riuscire ad arrivare prima possibile ad una destinazione in cui le lacrime possano essere occultate agli sguardi altrui.
Quando vedi una persona piangere così capisci che non c’è rimedio, che non sta disperandosi per la fine di un amore qualunque, dentro c’è un tipo di sofferenza che nessun abbraccio riuscirà a lenire.
Io ho pianto in pubblico quando il buio mi proteggeva, in cinema dove appena si accendono le luci fingo di avere straordinari sbadigli o banalissimi raffreddori, o in luoghi di transito, aeroporti preferibilmente.
Forse perché  fra un gate e un duty free hai la sensazione falsa di essere invisibile agli sguardi altrui.
A volte poi ci sono degli spazi fra un gate e l’altro che sembrano sempre vuoti, posti buoni per nascondersi dove addetti aeroportuali appaiono improvvisamente da porticine bianche che mai avresti notato altrimenti.
Belgrado non è più triste di altre città, non c’è nessuna povertà o conseguenza post bellica che tenga, l’autunno è un po’ più grigio ma da tempo ho smesso di credere nella felicità mediterranea.
Negli ultimi mesi ho visto piangere decine di sconosciuti in città dalle temperature diverse, ognuna a suo modo, come ognuno a suo modo ride.
Ho pensato per un po’ che fosse una specie di scherzo atroce
perché la persona che più ne avrebbe avuto bisogno proprio non poteva farlo, e se ne doveva restare lì asciutta e disperata.

Invece sono forse diventato solo più sensibile, guardo meglio gli altri, li osservo negli occhi quando nemmeno se ne accorgono e cerco di capire quando sarà il momento in cui esploderanno.

Quando esplodono gli esseri umani diventano terribili e splendidi come certe stelle esauste.

2 commenti:

  1. sì sei diventato molto molto più sensibile..grazie per avermi s(u/o)pportato :*

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  2. me lo ricordo quel pianto... beh, diciamo, c'era tutto lo scenario, il sole stava tramontando, dietro la signora si stagliava un edificio devastato seguito da un edificio modernissimo, un regista non avrebbe potuto pensarla meglio quella scena... mi é sembrato fosse proprio all'inizio di un pianto, quel momento a cavallo tra il pensiero peggiore e il non sopportare piú i propri pensieri.

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