martedì 8 novembre 2011

Contro l'androne e il suicidio


Torno e trovo un bicchiere rotto nel lavabo, non me n’ero accorto nemmeno che si fosse rotto quando sono uscito oggi pomeriggio, deve averlo fatto silenziosamente coperto dai rumori dell’acqua e del sapone per lavare i piatti.
Ero uscito canticchiando un brano triste che parlava di solitudine ma ero di buonumore quando ho sentito un urlo provenire dal piano di sopra.
Un urlo di ragazza disperato, tante volte ho maledetto il mio condominio e il cortile per i suoi rumori ovvi, banali: canzoni cantate male, litigi mediocri fra giovani fidanzati, rimostranze di madri a figli male educati.
Ora chiederò quegli urli, li desidererò tutti quei rumori ovvi banali.
Ho cercato di capire cosa stesse succedendo e ho visto qualcosa cadere, non ho avuto il tempo di decifrare cosa era.
Non ho avuto nemmeno il tempo di vedere l’impatto o mi sono illuso di non averlo visto, l’ho rimosso all’istante, ho sentito il rumore, il tonfo, nessun gemito, nessun lamento.
Un corpo disarticolato, il sangue usciva dalla bocca in un rivolo che ho visto mille volte solo con le nostre protesi audiovisive.
Ma era diverso, non ho provato quasi nulla, non mi è piaciuto.
Sono restato fermo un attimo, indeciso se dovevo precipitarmi giù e certificare la morte certa di una persona, quindi sono risalito di corsa per le scale e ho fatto l’unica cosa logica da fare: sono tornato sul mio pianerottolo e ho bussato alla prima porta, mi hanno aperto subito, marito e moglie visti poche volte di sfuggita, nemmeno so i loro nomi, ho chiesto di chiamare subito polizia ambulanza, con la voce leggermente tremante e decisa ho detto una signora si è suicidata.
Non ho detto ammazzata, non ho detto è morta, ho usato la parola esatta come se nessuna emozione potesse scalfire le mia proprietà di linguaggio, non mi è piaciuto nemmeno questo. Le persone sono uscite dai pianerottoli con timidezza, sapevamo tutti che a distanza di qualche piano la morte è meno paurosa rispetto all’avvicinarsi ad un palmo, siamo rimasti ad aspettare, non c’era omissione di soccorso.
Il corpo era indiscutibilmente morto, la testa piegata da una parte, i piedi puntati in direzioni inconcepibili con l’esistenza.
Poi sono arrivati i carabinieri e i poliziotti, chiedendo chi aveva visto cosa.
Mi sono sentito in dovere di essere un buon cittadino, ho raccontato il poco che ho visto, un carabiniere ha trascritto a penna l’accaduto, quando l’ha riletto ero attento al modo in cui l’aveva buttato giù, era scritta peggio di come l’avrei raccontata in prima persona, non mi piaceva dover accettare una mia versione dei fatti così sgrammaticata: ancora lo scrittore, il testimone, non mi sono piaciuto.
Il primo suicidio di cui mi ricordo fu quello di una donna che viveva nel palazzo di fronte al nostro da bambino, si buttò dalla finestra, non vidi niente, ricordo che il figlio urlava come un disperato mentre lo tratteneva un ispettore della polizia cercando di consolarlo.
Tutti sono attratti dal vuoto, anche io ho pensato tante volte a cosa succedesse se mi buttassi nel vuoto, è un idea del tutto vaga, non legata a nessuna intenzione reale.

È un idea con cui ognuno si balocca per saggiare il suo grado di potenza.
Ho sempre avuto rispetto per il suicidio, dolore e rispetto, i miei vicini non la pensano allo stesso modo, pensano che sia una cosa da folli, un atto inconsulto di debolezza, un lapsus.
Non ci stava con la testa poverina, pensano questo.
Mi hanno chiesto cosa ho visto, ho detto poche frasi ma mi sentivo in colpa per il ruolo del testimone oculare, da un lato temuto, dall’altro agognato
Il portiere era fuori, lo hanno contattato e appena è tornato ha cercato subito di mettersi a disposizione come mai ha fatto in tutta la sua lunga e poco onorata carriera, ha perso la sua arroganza consueta, addirittura quando sa che ho visto l’impatto mi ha fatto un cenno quasi dolce per rassicurarmi, mi invitava a dimenticare.
Fra qualche giorno tornerà il solito stronzo di prima, ma io con lui mi prometto di  essere diverso.
Cerco di ricavare anche dal gesto più drammatico un mio tornaconto, questo nemmeno mi piace e pure mi tocca farlo.
Sono egoista, cerco di capire perché dovevo essere in quell’istante testimone, se questo c’entri con me, non mi piace che ogni cosa finisca per c’entrare con me, vorrei restarne fuori ma non ci riesco.
Cercherò di trarne una lezione, come sempre.
L’unica cosa che posso dire ora è che l’ androne del mio palazzo non sarà mai più lo stesso.

5 commenti:

  1. Sarebbe interessante poi, leggere della lezione che ne hai tratto.
    Questo tema mi tocca in modo particolare...
    Bel pezzo, come sempre del resto.
    (i tuoi non riesco proprio a chiamarli post).
    Ciao criticone ;)

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  2. La lezione spero di trarla nella vita senza avere bisogno di scriverne.
    I miei non sono post :)

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  3. Arrivo al tuo blog casualmente, da quello di OrsaBipolare. E il primo pezzo che leggo include la parola suicidio nel titolo.
    Sbang!
    Solita mazzata interna!
    Tema che tocca anche me, come già ci siamo raccontate io e Orsa in un suo post.

    Scrivi 'Ho sempre avuto rispetto per il suicidio', oltre a trovarmi d'accordo aggiungo che non riesco più a trovar biasimo per esso.

    Bel pezzo questo! :D

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  4. @ Piedi Alati
    Incredibile che tu sia capitata proprio in questo pezzo. o_O

    Al critico:
    Vabbè, perchè non scrivi anche delle lezioni tratte dalla vita?
    Comunque per definizione lo sono, perchè questi scritti sono in un blog e non dentro un libro...
    Ma noi ce ne freghiamo delle definizioni! ;)

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  5. gia ce ne freghiamo e presto magari ci sarà un libro. sono contento di gente che arriva casualmente come nei vecchi tempi dei blog

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