mercoledì 11 gennaio 2012

Contro Obama






Qualche mese fa in stazione c’erano degli enormi manifesti con sopra il garofano del Psi, il suo segretario attuale si chiama Nencini, con gli slogan cerca di resuscitare l’orgoglio calpestato dal non più così recente passato.
Diversi anni orsono sostenne addirittura la nascita di un governo ombra alternativo al regime berlusconiano, avrebbe dovuto riunirsi a Lugano, in territorio neutro e vicino al confine.
Una specie di parodia partigiana fuori tempo massimo per ricordare che socialisti furono anche uomini come Pertini.
Sopra il mio letto ho un grosso manifesto di Pertini, me lo regalò S. dopo una mostra a cui l’avevo portata.
C’erano stampe di articoli, foto, spezzoni di interviste dell’ex presidente, in una dichiarava che nel 1943 aveva quasi preso per il collo il cardinale di Milano, tale Schuster, che cercava di difendere Mussolini.
Portare la tua nuova ragazza a una mostra del genere è un modo per saggiare la sua sensibilità d’animo.
Ieri passavo per il centro e c’erano dei banchetti contro la casta tenuti dal Pli, più o meno con lo stesso simbolo del vecchio partito distrutto da Tangentopoli e dalla sua inutilità esistenziale.
Partiti come il Pli o il leggendario PSDI ottenevano percentuali bassissime alle elezioni ma esercitavano il loro potere ricattatorio e mangiavano enormi briciole che cadevano dalla bocca della balena democristiana.
Venivano definiti laici ma in realtà non erano diventati altro che gruppuscoli insostenibilmente corrotti, in misura proporzionalmente perfino maggiore rispetto alla stessa DC.
Da bambino mi interessava tutta la politica: nazionale, internazionale.
Forse perché mio padre faceva politica a livello locale, oppure perché da infante ero cresciuto con i resoconti dei rantoli violentissimi delle Br, atti di impotente crudeltà che avrebbero scatenato un decennio di menefreghismo collettivo.
Divisioni in correnti, governi balneari, lessico da iniziati delle faccende partitocratiche, mi interessava tutto.
Seguivo anche la politica estera, mi tenevo informato sullo questioni internazionali, mi allertavo ad ogni crisi come se dall’attualità davvero dipendesse il mio destino pre-puberale, la cosa spaventava i miei compagni di classe.
A 10 anni conoscevo già sommariamente il funzionamento degli organismi sovranazionali, il diritto di veto dei cinque membri permanenti dell’ONU, dovevo sembrare un alieno ai malcapitati coetanei.
All’esame di terza media la traccia del tema era sugli scontri di Piazza Tienanmen a Pechino, mi ero preparato sull’argomento leggendo dei settimanali progressisti ed elaborai una disamina partendo da Mao per passare alla Rivoluzione Culturale fino ad arrivare alla banda dei quattro e alla nuova era di Deng Xiaoping; la commissione sospettò che avessi copiato di sana pianta e all’orale uno di loro mi fece un paio di domande a trabocchetto che dimostrarono invece come fosse stata tutta farina del mio sacco.
Non sono mai stato un secchione né avevo quell’apparenza, leggevo solo quotidiani completando la mia dieta informativa con supplementi e occasionali rotocalchi.
Di tutto questo ormai non rimane niente, se ogni tanto mi informo lo faccio solo per dovere di cronaca oppure per puro divertimento.
L’unico che riesco ad ascoltare è Pannella quando discute di tutto e di nulla a Radio Radicale, gli chiedono di una finanziaria qualsiasi e lui divaga su Benedetto Croce o si riferisce a vecchie questioni irrisolte degli anni ’50.
Non ho più alcuna passione autentica per la cosa pubblica in senso vago, quando qualcuno cerca seriamente di coinvolgermi in un discorso politico la butto sul polemico o cambio di colpo argomento, fuggo verso l’alto o verso il basso.
Non per questo sono diventato un qualunquista, ho le mie idee ma sono contraddittorie e quasi mai attuabili.
So che non è un buon esempio civile e che Pertini disapproverebbe scuotendo il capo e la sua pipa, ma non posso farci niente.
Ogni tre anni c’è un argomento che mi scuote ed è piuttosto stupido a pensarci davvero: le elezioni presidenziali statunitensi.
L’intero meccanismo elettorale americano forse mi ha sempre incantato per il complesso sistema delle primarie, la confusa geografia politica degli stati diversi per composizione etnica e valori di riferimento, lo spettacolo rutilante  delle Convention estive con mascotte di animali simboli dei due partiti, e poi bandiere  e cotillon da carnevale fuori stagione.
Continuano a interessarmi anche ora che la politica quasi sempre mi annoia, forse perché si tratta di una competizione che ha i tratti del puro agonismo.
E’ un po’ come il calcio, tutto è cambiato, ritmi di gioco, pettinature dei giocatori, copertura mediatica delle partite, ma alla fine non riesco a staccarmi completamente.
Anche le primarie sono diverse dal passato, quando ero bambino i soldi pure contavano ma non fino a questo punto, e l’invasione delle tattiche pubblicitarie non aveva ancora monopolizzato il campo.
Ogni candidato ha attorno a sé staff di consulenti, alcuni cambiano casacca ogni elezione come professionisti ingaggiati per allenarli al meglio nella estenuante corsa che ammazzerebbe un cavallo di razza.
Chilometri macinati da autobus, aerei e treni, discorsi fotocopia ripetuti in piccole cittadine, modifiche progressive per adattarsi ai cambi d’umore dell’elettorato.
Ora i favoriti della contesa si misurano sulla capacità di attrarre finanziamenti e sulla disponibilità conseguente di poter acquistare spazi per spot sui network nazionali e  locali.
Quando avevo otto anni c’era Reagan che vinse a mani basse contro Mondale, nel 1988 il candidato democratico era un tale Dukakis, la sorella era un’attrice, non aveva speranza contro il vice dell’amato Ronnie.
Le elezioni più scontate furono quelle del 1996, non c’era alcun dubbio che Clinton  sarebbe stato rieletto, aveva contro un vecchio senatore repubblicano, il solito veterano, non è difficile trovarlo negli Stati Uniti viste le numerose e spesso vane guerre di cui sono stati protagonisti. Si chiamava Dole e manifestava i primi sintomi del deterioramento senile.
Una volta stava rischiando di cadere da un palco  o qualcosa del genere, fu l’ennesima dimostrazione che mai avrebbe potuto ricoprire il ruolo di comandante in capo assegnato al vincitore delle presidenziali.
Nel 2008 ero in California,  a sud di San Francisco, con S. e seppi della vittoria di Obama nelle primarie dell’ Iowa durante una sosta in un drugstore lungo la strada dove ci eravamo fermati  a bere un caffè lungo ed a mangiare una brioche.
A stento conoscevo il suo curriculum, avevo letto vari articoli ma ritenevo che non avesse autentiche speranze di sconfiggere la ex moglie del presidente Hillary Clinton.

Perciò lessi il giornale e valutai la cosa senza darci troppo peso, in viaggio non stavamo seguendo le ultime notizie e poi non ho mai creduto all’importanza del piccolo stato del Midwest.
Assegna pochi delegati ed è rilevante soltanto perché è il primo stato in ordine cronologico dove si sfidano i candidati.
È in mezzo al paese, è uno di questi Stati che vedi dall’aereo mentre voli dalla costa atlantica a quella pacifica, se è sereno puoi vedere campi coltivati a mais.
Quasi tutti in Iowa lavorano nel settore agricolo, fanno pannocchie o vendono pannocchie o fanno ricerche di qualche tipo connesse alle pannocchie, non ci sono neri e la popolazione è mediamente più anziana degli altri Stati.
Man mano però che la candidatura di Obama si dimostrava seria, iniziai a seguire la contesa fra lei e la Clinton.
Leggevo articoli direttamente dai siti on line dei giornali statunitensi, mi informavo su blog politici, vedevo perfino canali all-news di lingua inglese.
L’anno elettorale scorreva parallelo ai miei problemi quotidiani con S., più seguivo le primarie e meno sopportavo di discutere con lei di noie al lavoro e piccole incombenze quotidiane, inseguivo chimere e non ero soddisfatto di me.
Obama vinse quando S. stava cercando un'altra casa, ci eravamo lasciati ma in realtà vivevamo assieme e facevamo l’amore ancora, poco ma forse meglio di prima; succede così a volte, è come il calcio, a volte i colpi migliori ti vengono quando non c’è la tensione della sfida,i giornalisti sportivi dalle frasi fatte usano l’espressione non hai nulla da perdere.
Forse facemmo l’amore per festeggiare la vittoria di Obama oppure ci demmo solo un veloce abbraccio, forse mi piace pensarlo perché sarebbe stato un bel gesto anche se già allora ero abbastanza scettico per non farmi fregare completamente dai video dei rapper che inneggiavano al cambiamento e alla speranza.
Infatti ora sono passati tre anni e Obama è un presidente come qualsiasi altro, qualunque cosa succederà nelle prossime elezioni non cambierà il destino del mondo perché nessuno può permettersi di cambiare alcunché ed io sono più cinico di prima.
S. se ne andò a gennaio,  quando andò a vivere al di là del ponte la andai a trovare un paio di volte, visite di cortesia strane, l’ultima volta che facemmo l’amore fu molto bello, dolce ma anche deciso, Tiziano Ferro canterebbe bellissimo allungando tutte le vocali.
Obama aveva appena giurato come presidente.

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