lunedì 5 settembre 2011

Contro Jovanotti

Il mio giornalista preferito è Giuseppe Cruciani, conduce un programma su Radio 24 che si chiama La Zanzara.
Mi piace perché tratta male gli ascoltatori ed è consapevole di quanto il suo lavoro sia poco serio:parlare di politica italiana ogni giorno, intervistare deputati e senatori con fortissime inflessioni dialettali e lessico burocratico; l’attualità può diventare molto divertente se cominci a rassegnarti e la smetti di indignarti ogni secondo.
Ho visto qualche mese fa un servizio fotografico di lui su Rolling Stone, le foto erano dei bianchi e neri molto leccati ma gli abiti che indossava mi piacevano.
Lo ritraevano mentre correva e mi piaceva il suo soggiorno, anche se a tratti c’era qualcosa di troppo curato, sembrava il ritratto di un rampante senza anima.
Jovanotti parla sempre di sua moglie.
La moglie con cui sta da anni, quella che una volta stanca dei suoi continui lunghi viaggi in Sudamerica, lo tradì proprio con Cruciani.
Le prove furono foto di loro baci appassionati pubblicate da un giornale scandalistico, all’epoca Cruciani non era minimamente celebre.
I due non potevano essere più diversi.
Uno fighetto, arrogante, spocchioso , anticonformista, apparentemente cattivo.
L’altro alternativo, sorridente, positivo all’eccesso, apparentemente troppo buono.
Le donne sono strane, io non sono ancora riuscito ad averne due così insostenibilmente all’opposto.
Agli antipodi, dove andava Jovanotti lasciando la moglie sola per cercare se stesso.
Gli piaceva molto il Sudamerica, ha girato dei video in Cile ed in mezzo alla foresta brasiliana, gli piaceva anche molto la Patagonia.
 
L’ha percorsa in bici per svariati mesi, ne ha parlato pure in un libro, si chiamava Il Grande Boh, era piaciuto al mio amico Thomas che me l’aveva consigliato prima di partire per l’Argentina.
Non ho fatto in tempo a comprarlo, d’altronde non era previsto nemmeno che finissi in Patagonia.
 
Ne avevo parlato con M. della Patagonia ma era troppo lontano, alla fine la scelta era caduta sulla regione dei laghi.
Aveva fatto tutto lei, affittato una casa, programmato le cose che avremmo dovuto fare.
Ogni tanto mi diceva sorridendo che voleva dormire, camminare e fare l’amore soprattutto.
Quella zona  dei laghi era piena di nazisti fuggiti dopo la Seconda Guerra Mondiale .
In Argentina ti capita di vedere i nipoti di questi espatriati, una volta a Buenos Aires davanti a una banca vidi una guardia armata bionda, era un tedesco di quelli che in Germania ormai non ne nascono più, il prototipo dell’ariano dallo sguardo bovino, un perfetto kapò da campo di concentramento.
 
Gli ex criminali costruirono case di legno del tutto identiche alle loro baite abbandonate di fretta in Bavaria.
Si insediarono lì perché Peron era un dittatore compiacente e il panorama alpestre era una scialba imitazione di quello alpino, una specie di Svizzera approssimativa.
 
A M. piacevano posti del genere, era stata non molto lontano da lì con il suo ex ragazzo per una sorta di vacanza di rappacificazione dopo mesi in cui si erano lasciati o qualcosa del genere.
Mi ricordo che aveva delle foto scattate da lui, in quasi tutte aveva l’espressione un po’ triste che le veniva spesso in foto e quello sguardo strano, ferito.
In un paio accennava un sorriso vicino a un abbozzo di pupazzo di neve, in una era in piedi davanti a un tavolo di biliardo.
 
Le avevo viste prima di conoscerla, quella che preferivo era una in cui era seduta un po’ di profilo davanti a un caffè lungo macchiato, guardava fuori da una finestra appannata dal freddo.
Non ho mai visto la baita né quel lago, se non in in qualche opuscolo più a sud, sono forse meno europei di come volevano darla a bere.
Immagino che Jovanotti nel suo libro abbia parlato della pace della Patagonia, del nulla, abbia detto con parole molto più terra terra quello che ha scritto Chatwin.
Non è colpa sua se quel vuoto non sono proprio riuscito a provarlo.
Avevo la testa in fiamme e scattavo foto con la mia reflex in automatico, le ho sistemate tutte in cartelle ordinate sul mio computer, non riesco ad aprirle.
Foto di paesaggi, nemmeno in una per fortuna ci sono io, non posso immaginare sorrisi di circostanza.
Appena arrivato in Patagonia decisi di fare come Jovanotti, presi a noleggio una bici, venti chilometri avanti e indietro su una strada sterrata adiacente alla costa.
C’era un vento tremendo, quello del quale si lamentava Jovanotti, quando soffia contrario quaranta chilometri diventano duecento.
Non mi sono mai stancato tanto nella mia vita, a tratti sembrava che non ce la dovessi fare a tornare indietro.
 
Della Patagonia mi è rimasto poco, me ne rendo conto ora che cerco di ricordarla, anche se vedessi le foto non cambierebbe niente.
Jovanotti dedica quasi tutte le sue canzoni alla sua moglie ed esagera.
Il suo amore fa venire invidia, c‘è qualcosa che non va, sembra troppo fuori misura per il presente.
 
Quando ascolto certe canzoni degli anni ’60 non capisco mai se il trucco sia la scrittura o ci fosse proprio un'altra qualità di amore, impossibile oggi.
Certi pezzi di Endrigo, Modugno, Paoli mi rendono disarmato, non posso scrivere così perché quell’amore lì, se è mai esistito, non c’è più, finito, tolto di mezzo.
Una volta ne parlavo con un mio amico, c’era in radio il brano di Califano rifatto dai Tiromancino e da un certo punto la canzone dice non lasciai di certo un amore folle in un tempo piccolo.
Ci chiedemmo se l’amore folle esiste, se è ancora possibile, l’amour fou può esserci solo in qualche sceneggiatura ma stona, sembra falso.
L’amore contemporaneo non è né folle ne ingenuo, piuttosto è lucido e calcolatore.
Ma Jovanotti è buono e si sforza di immaginarselo perfetto.
Per Jovanotti lui e sua moglie sono la cosa più spettacolare dopo il big bang e valgono più delle mille, inutili inezie mondane che circondano le nostre vite.
Per Jovanotti è sempre benedetto il giorno in cui l’ha incontrata, gli altri amici lo stanno ancora aspettando chissà dove.
Per Lorenzo lei è la sostanza dei suoi sogni, un raggio di sole, anzi loro due sono come il sole a mezzogiorno.
Quando ascolto l’ennesima canzone dedicata alla moglie, mi immagino il volto di lei e come la possa prendere.
Se non sia troppo, se non le venga voglia di fuggire, se non rimpianga il cinico Cruciani.
Come diceva Panella quello che capita nelle canzoni non può succedere in nessun posto del mondo.


5 commenti:

  1. Ma i Kapò nn erano i prigionieri? Ce li vedo poco quelli di razza ariana internati

    Probabilmente ho uno scarso senso dell'umorismo, o peggio ancora non capisco alcune sue sottigliezze...ma a me Cruciani sta davvero sulle palle, classico prodotto che può trovare spazio solo in tempi o in paesi come il nostro...di una maleducazione degna di miglior causa

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  2. Mi sembra che i kapò fossero nazisti...non prigionieri.. magari mi sbaglio..
    su cruciani beh è la mia idea

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  3. I kapò non erano proprio i nazisti. Erano prigionieri che diventavano sbirri nei lager, per scelta della direzione del campo. Non mancarono casi di kapos ebrei. Saluti

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  4. Credo che la vita e i sentimenti che la circondano siano soggettivi, come lo è l'energia e l'autosuggestione Che ci mettiamo. Bisogna piu che altro saperli provare certi sentimenti, o credere di poterlo fare...in fondo non cambia.

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  5. Lascia perdere Jovanotti e il mediocre cruciani, l'errore sui kapò è clamoroso. Siamo nell'epoca dove chiunque può sparare la sua. Che pena.

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