mercoledì 14 settembre 2011

Contro la pigrizia


A quindici anni prendevamo in giro quelli che volevano farsi il fisico anche se tutti eravamo iscritti a qualche palestra nella nostra cittadina.
Gli aspiranti body builder mangiavano di nascosto in classe scatolette di tonno e la sera chiedevano pizze senza olio e con mais come condimento.
Cercavano di limitare  i carboidrati, seguivano diete proteiche, si nutrivano molto meglio di noi.
L’equazione facile e ingiusta palestrato uguale stupido ci ha fatto trarre conclusioni sbagliate.
Con la vita impari che il corpo conta, a venti anni te ne freghi, hai come punti di riferimento scrittori dal petto incavato, maledetti che si drogavano, bevevano e maltrattavano la loro gioventù commettendo peccato mortale.
Quando hai trent’anni inizi a temere il decadimento fisico, sei più sensibile ai corpi altrui e alle critiche e ai complimenti eventuali sul tuo.



Quando ero bambino le palestre erano divise in due grandi categorie: quelle per body builder e quelle in cui si faceva dell’innocente ginnastica.
Allora non c’erano tutti i corsi a corpo libero: Total Body, Step Tone e tutte quelle idiozie.
Le palestre non erano ancora diventate dei finti centri di meditazione e benessere, la parola wellness non la trovavi scritta da nessuna parte.
Niente corsi di yoga, niente lezioni di ballo sudamericano per cercare di attirare fighe in decadenza, niente saune e bagni turchi, nessun personal trainer.
Gli istruttori erano di due tipi: il maestro di educazione fisica con regolare diploma all’Isef e fisico deludente, di solito magro senza essere tonico, aveva un passato da atleta dilettantissimo, magari correva, forse andava in bici oppure saltava in lungo.
Oppure era del tipo tendente al body builder che si bombava di proteine sintetiche e aveva sempre qualcosa fuori posto: le spalle troppo grandi rispetto alle vita, le gambe troppo piccole rispetto al busto.
Erano mostri disarmonici e rispettati, quelli più capaci avevano dei lavori impiegatizi o da libero professionista di rango minore, i meno capaci finivano per fare i buttafuori in locali che ambivano e detestavano allo stesso tempo.
Di solito quelli più furbi mettevano a frutto la loro passione diventando proprietari o gestori di palestre.
Da bambino avevo fatto per un po’ di tempo della ginnastica correttiva perché avevo la cifosi, dopo non l’ho più avuta o non mi sono più posto il problema.

A quattordici anni invece mi iscrissi a una palestra da adulto, iniziavo il mio lungo, discontinuo e poco felice rapporto con le macchine assistite e i pesi.
Rispettavo poco le schede assegnate, tendevo ad innervosirmi se dovevo alternarmi con uno più grosso di me o se c’era troppa fila, avevo poca disciplina, forse mi iscrissi non mosso dal genuino desiderio di modellare un corpo a mia immagine e somiglianza, ma solo per inerzia generazionale.
Non ascoltavo i consigli distratti che ogni tanto davano gli istruttori o alcuni veterani della palestra, gente più grande che aveva il diritto di correggerti.

Non sono mai cresciuto, le mie braccia sono rimaste mediamente magre, le mie spalle leggermente spioventi, l’addome piatto è sempre stato un miraggio causa ragioni genetiche, tanto sudore sprecato per nulla.
Solo una volta sono riuscito a ricavare qualcosa di concreto andando in palestra.
Dimagrii sette chili in due mesi e alla fine raccolsi attestazioni di stupore e soddisfazione, ne fui felice.
Mi chiedevano come diavolo avessi fatto, rispondevo che avevo corso sul tapis roulant quasi ogni giorno per quaranta minuti di fila e mangiato solo insalate salutari e tonno, riducendo drasticamente la quantità di pasta asciutta.
Adoro il tapis, è molto meglio che correre per strada.
Con il tapis sai sempre la velocità a cui stai andando, puoi controllare tutti quei display con i metri percorsi e il battito cardiaco, le calorie che stai consumando sono sotto i tuoi occhi.
Quando corro al parchetto ci sono sempre immagini laterali a distrarmi.
Ubriachi con bottiglie di birra, vecchi non molto deambulanti che mi guardano con giusta invidia e sacrosanta cattiveria, coppiette post-adolescenziali in amoreggiamenti rimpianti.
Passo di lato sfrecciando, a volte il mio ego stupidamente si compiace per avere un corpo in grado ancora di sfrecciare, rispondo allo sguardo dei vecchi con uno scatto immotivato, o con una respirazione affannata ma controllata.
Sto correndo, mi dico, e loro non possono.
Non mi piaccio, preferisco essere sopra un tapis roulant circondato da persone in stato fisico decente.
Fu dopo il tapis roulant e i chili persi che pensai di mettere su davvero un po’ di veri muscoli.
Progettavo di diventare come Raiz, l’ex cantante degli Almamegretta o Mario Venuti, pelati fra l’intellettuale e l’artistico con il fisico da pugilatori, in fondo anche Palanhiuk ha dei pettorali enormi.
La vita fa meno male se hai abbastanza muscoli per sopportarla.
Anche i manuali di fitness spiegano che gli addominali non hanno una funzione meramente estetica e non servono solo in caso di improbabile combattimento in strada.
Proteggono gli organi interni, ti rendono la postura migliore, prevengono mal di schiena e perfino malattie ben più gravi.
Sulla palestra a Buenos Aires c’era affissa sopra una parete una lista con dieci vantaggi derivanti dalla pratica del fitness:
migliore attività cardiovascolare, prevenzione di ictus, rallentamento dell’invecchiamento osseo, e via dicendo.
Mi ero iscritto lì tre giorni dopo essere arrivato, M. ci aveva messo poco per darmi dei consigli su come migliorare addome e spalle.
Sosteneva che aveva visto il potenziale, il suo ex era magro senza speranza, se mi fossi allenato sarei diventato asciutto, voleva un tipo dai muscoletti guizzanti, era tiepida anche in quel caso.
Quelli dai pettorali troppo grossi le incutevano timore, camminava con le spalle curve fiutando dovunque un possibile pericolo.
In palestra andava poco ma controllava che io andassi regolarmente.
Era a pochi isolati da casa sua, una filiale di  catena di medio lusso che qui sarebbe solo media, l’istruttore mi chiamava Cannavaro per assonanza fonetica con il mio cognome, era un biondino che assomigliava a Caniggia, a me Caniggia era sempre stato antipatico perché era stato l’autore del gol all’Italia nei mondiali del 1990.
Zenga sbagliò clamorosamente l’uscita e l’attaccante biondino lo anticipò di testa, uno a uno, e poi finì che perdemmo ai rigori: la più grande sconfitta della storia calcistica italiana.
L’istruttore non era così bravo, era magretto, senza nemmeno troppi muscoli, spiegava le cose sorridendo e lentamente, convinto che non capissi quasi nulla dello spagnolo.
Mi diceva le cose e si guardava intorno, fingendosi indaffarato.
Spesso ero costretto a spiare gli altri per capire se stavo facendo bene i piegamenti per gli addominali o le alzate laterali per i deltoidi.
Se andavo di mattina c’era più gente di quella che mi sarei aspettato, gruppi di anziani convenzionati che si allenavano tutti assieme a qualche ginnastica di quelle che ora definiscono dolci: esercizi a corpo libero con sottofondo di musiche insulse, movimenti che servono per alleviare i dolori cervicali e le artrosi croniche.
Nel mio periodo a Buenos Aires avevo iniziato a ispessire leggermente gli addominali ma comunque erano nascosti dietro il mio leggero strato di adipe, i muscoli che preferisco fare sono i bicipiti e i tricipiti perché sono corti e crescono più in fretta degli altri, ti danno immediate soddisfazioni, sono nel presente.
Invece detesto allenare i deltoidi perché sono faticosi e sembra che non servano a niente, ci vuole molto tempo per capire la loro utilità guardandoti allo specchio.
Le gambe cerco di farle il meno possibile, non mi piacciono troppo grosse e credo di averle già piuttosto belle senza dover intervenire troppo.

E’ l’ultima parte di me che M. guardò con desiderio.
Stavamo mangiando un gelato e ad un certo punto mi osservò e disse una frase di complimento alle mie cosce.

Tornato in Italia per mesi mi ero informato sporadicamente su palestre ed attività fisiche di vario genere, prendevo solo informazioni, chiedevo alle segreterie, mi ripromettevo di fare lezioni di prova a cui puntualmente mancavo.
D’altronde facevo così per tutto: attività ginniche, corsi di inglese e altre lingue.
Ingannavo il tempo senza avere la minima intenzione di migliorare la pronuncia di una lingua straniera o di incrementare il mio tono muscolare.
I sogni di Raiz e Venuti sembravano appartenere a un passato remoto.
Poi come d’improvviso l’estate mi ha guarito, ho iniziato a guardare i corpi, tutti i corpi compreso il mio e mi è sembrato naturale che tutto cominci da lì.
Non c’è nessun scandalo in questo.
Si comincia dalla pelle, dalla superficie, non possiamo farne a meno anche se vogliamo per forza essere visti come belle anime.
Così mi sono iscritto in palestra, pronto a combattere contro la pigrizia ed a sopportare la poca disponibilità di istruttori demotivati.
Cercherò di lavorare anche sui deltoidi perché so che sono fondamentali se voglio allargare le spalle, anzi più esattamente per dare la percezione che le mie spalle siano più larghe di quanto realmente siano.
Una specie di trucco che consigliano in rete sedicenti esperti di cui mi fido.
Mi sono d’improvviso ricordato anche che volevo provare a tirare di scherma e così ho preso appuntamento per una lezione di prova.

Ho bisogno di riflessi e di gambe veloci, quelli servono sempre, anche se non erano nella lista dei dieci benefici miracolosi.
Alla lezione stavolta non mancherò.

5 commenti:

  1. Mamma come e lungo..scusa ma non riesco a fininirlo..sarà colpa tua..:)..comunque mi piace quello che ho letto, maggari fai un po piu largo l'area di testo, se legerebbe meglio..

    Da Gravina

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  2. ma firmarsi mai..?
    ora addirittura la città...

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  3. non so se si si puo fare piu largo..trova un altro blog..:)

    Javier from GinP

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  4. se mi mandi le foto dei pettorali di Palanhiuk mi fai felice...

    ziska :)

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