lunedì 17 ottobre 2011

Contro i black bloc presunti e chi non ha il coraggio di esserlo fino in fondo


Dalle casse del camion scoperto era uscita poco prima una voce urlante sopra il sottofondo rock selezionato dal dj, la voce diceva:
Non dobbiamo solo passare un pomeriggio qui, dobbiamo campeggiare, rimanere a Roma fin quando non se ne saranno andati, fin quando non ci daranno quello che chiediamo…”
Già sapevo che tutto si sarebbe concluso entro la sera, ma non immaginavo certo come.

La gente scatta foto alle vetrine rotte di una banca, alcuni non hanno mai visto da vicino degli scontri di piazza: quando tutto sarà finito, saranno pubblicate su Facebook.
Io non mi sono impaurito neanche un po’, sono rimasto sempre in zona di sicurezza, dietro le prime file dove si ammassano i curiosi.
Non ho portato la macchina fotografica, non sono un giornalista interessato alla cronaca degli eventi minuto per minuto, mi interessano più le facce.
I black bloc sono categorie create per fingere di capire il mondo, di solito ne parlano i servizi dei telegiornali che devono comunicare all’enorme provincia dei quasi informati.
Fra i presunti black bloc vedo molti diciottenni, alcuni gridano nel gergo romano del tifoso ultras, lo stesso delle radio che discutono del derby.
Questi ragazzotti che giocano alla guerra cercando di studiare le prossime mosse o applaudendo vigliaccamente mentre brucia una camionetta della polizia, assisteranno alla sfida del giorno dopo  con lo stesso spirito.
Hanno giubbotti scuri e date di nascita incompatibili con i loro slogan, sono imitazioni sbiadite di imitazioni grossolane.
I miei coetanei impegnati nell’antagonismo già erano fuori tempo massimo, ora fanno i maestri elementari, a volte per sentirsi meno in colpa fondano delle fanzine politiche, frequentano con sempre meno assiduità i centri sociali in cui andavano dieci anni fa.
In una strada qualunque alle spalle di San Giovanni, signori di cinquanta e sessant’anni dall’aria smarrita mi chiedono dove si prende la metro, hanno dimenticato come si manifesta o sono soltanto indeboliti dall’età.
Vanno facilmente nel panico, si addossano ai muri dei palazzi, non vedono l’ora di tornare a casa a guardare le loro tv, che li spaventano e li attraggono a giorni alterni.
Il camion dei Cobas in mezzo agli scontri è la rappresentazione plastica della sconfitta dei movimentisti teorici.
Una voce femminile al microfono, dal tono probabile quarantenne spettatrice fedele di Raitre, continua a dire di restare dietro al  camion, assicura che lo stesso riuscirà presto ad avanzare fino al centro della piazza.
Tutte le voci in piazza non hanno volto, mi sembra una cosa inquietante e dai cattivi presagi.
Mentre nelle prime file se le danno di santa ragione, il camion comincia ad indietreggiare, la voce al microfono sostiene che è una manovra per trovare un varco.
Non ci credo, malgrado le parole blandamente guerresche, il camion è in preda al panico come i cinquantenni con barbe e brutti giubbotti fuori moda.
Molti si lamentano con la polizia perché non li tutela abbastanza, segretamente vorrebbero che separassero il male dal bene con qualche colpo ben assestato di manganello; nessuno dei mille movimenti ha organizzato un minimo servizio d’ordine.
Gli indignati che minacciavano con parole di fuoco sugli status di Facebook non hanno il coraggio di sgridare i cattivi ragazzi che stanno facendo barricate molto temporanee e torneranno per cena nelle loro camerette.
Il corteo viene spezzato in più punti, la gente si disperde, le persone arrivano alla spicciolata al Circo Massimo, senza ben sapere come proseguire.
Ci ritroviamo un po’ di amici e conoscenti, abbiamo idee forse diverse ma estrazione più o meno simile: siamo osservatori, partecipanti convinti o tiepidi, tutti ragionevoli condannatori della violenza, in questo identici alle voci ufficiali di ogni schieramento.
Andiamo a mangiare in una mega trattoria quasi industriale di gran moda fra i turisti piccolo borghesi in vacanza a Roma, nella sala una televisione è sintonizzata sul Tg5, mandano a ripetizione le immagini degli scontri, l’audio è muto.
La stessa Mercedes brucia per ben tre volte, ripresa da diverse angolazioni con differenti qualità video.
Di fianco a noi c'è una coppia di cinquantenni argentini, riconosco l’accento immediatamente, hanno passato il giorno visitando la parte di Roma non toccata dagli scontri e non si sono accorti di nulla.
Restano stupiti dalle immagini, le guardano cercando di capirci qualcosa, pensavano fossero prerogativa del Sud America, mangiano una margherita in due.
Entriamo in contatto solo quando stanno per andarsene, sono simpatici e innamorati.
Spiego in modo molto approssimativo le ragioni della protesta,  solo in parte comprensibili, solo in parte condivisibili: il debito, le banche, il sistema economico, sintetizzo senza convinzione.
È una protesta contro il sistema quindi, mi dicono, noi ne sappiamo qualcosa.
Cito la frase que se vajan todos, qualcuno l‘ha scritta con lo spray sopra un palazzo in centro,  era lo slogan preferito dai  manifestanti quando il loro paese stava fallendo negli anni ’90, rimangono stupiti dalla mia conoscenza del loro recente passato.
Ci salutano e tornano ai loro giorni di vacanza con ridotto potere d’acquisto
Torno a casa con un autobus notturno dopo aver bevuto vino, birra e rum; abbiamo presto cambiato discorso, in fin dei conti non c’era molto da commentare, avevamo già sviscerato le dinamiche dell’accaduto come investigatori dilettanti che non avranno mai tutti i dati a loro disposizione.
Sull’autobus ci sono ragazzi in uscita di intrattenimento e reduci della manifestazione giunti da fuori Roma.
Toscani che commentano con evidente compiacimento le fasi salienti degli scontri, hanno facce da bravi ragazzi, so che non prenderebbero mai un'arma contundente in mano, eppure la loro tranquilla soddisfazione per essere comparse dell’evento mi inquieta.
 A casa vedo il video dell’aggressione a Marco Pannella da parte di alcuni militanti della manifestazione: giovani, vecchi, di mezz'età, nessun black bloc.
Guardo bene le facce delle persone indignate che lo insultano rifiutando di discuterci, avranno scosso la testa guardando i cattivi ragazzi spaccare le vetrine, si saranno rammaricati perchè tutta la brava gente pacifica come loro è stata infangata da pochi facinorosi.
Si credono dei ben informati, sono lettori indefessi di giornali, spettatori semi compulsivi di approfondimenti politici.

Se la saranno presa con tutte le mele marce, senza muovere un dito.
Ne parleranno dopo a casa, a cose fatte, davanti ai loro terminali remoti.





6 commenti:

  1. beh? scrivi bene, ma che volevi dire?

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  2. non si capisce, vero? non è un pezzo facile

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  3. Ho 54 anni e negli anni 70 abbiamo provato, senza riuscirci purtroppo, a non dovervi far far quello che oggi siete costretti e sarete costretti a fare.Analizzate bene il passato,cercatene le conseguenze che ha provocato,non usate il cinismo che serve solo a perpetrare il potere. Noi fummo molto cinici,e per questo fallimmo.Questo é difficile da capire, non il tuo scritto da esistenzialista. La violenza é cinica,sará difficile uscire da questa trappola,ma se saprete leggere non solo il nostro passato ma quello dell´umanitá intera, qualche idea dovrá pur uscire fuori.
    Ah, noi affrontavamo le squadracce fasciste e i poliziotti che gli davano corda; per ora almeno questi sembrano fuori gioco, per ora.
    Alessandro

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  4. il mio scritto da esistenzialista. ci posso stare

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  5. solo un errore di scrittura: que se vayan!

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  6. una volta dovrò parlare della mia confusione grafica fra j e y..

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