giovedì 2 febbraio 2012

Contro i poster







Davanti alla filiale della banca c’è affisso un poster.
Lui e lei si baciano, lei 23 lui 30, c’e scritto così.
1000 sogni, desiderio realizzarne uno.
Il desiderio è il mutuo.
Mi sento di colpo proprietario di casa e senza desideri.
Le banche puntano molto sui sogni dei giovani, negli spot coppie innamorate si prendono per mano, corrono per le strade di città storiche toscane, si presentano dietro gli sportelli fiduciosi.
Nei loro album di Facebook mille pose sorridenti, da soli,  in gruppo, abbracciati, mi danno l’esatta percezione di dove avrebbe potuto essere la felicità.
C’è stato un tempo in cui credevo che in alcuni posti ci fosse la felicità.
Immaginavo si nascondesse in un appartamento di una città portuale qualsiasi del Nord Europa, in qualche luogo intravisto in un film, perfino nell’arredamento di alcuni soggiorni o di bar sconosciuti che mi facevano sentire di essere arrivato finalmente a casa.
Mai pensato che fosse in una giungla oppure in una spiaggia tropicale, ho sempre avuto troppo rispetto della felicità per credere che fosse così facilmente raggiungibile.
Ovviamente anche le mie erano illusioni, la felicità non ha nulla a che fare con la disposizione dei mobili o con l’illuminazione degli ambienti malgrado il desiderio ostinato che ciò accada.
Il desiderio della gente che si aggira all’Ikea, quello che si condensa in tazzine coordinate dai colori allegri.
Da quando ho smesso di farmi illusioni non mi interessa più essere altrove, sono molto più radicato nei posti dove resto.
Non perché li senta miei, continuo a perdermi a Roma anche se ci abito da anni, non capisco la ubicazione dei vicoli e delle strade strette, non ho ancora imparato le scorciatoie per andare più velocemente da un posto all’altro nel centro storico.

Ieri sera Roma era deserta, il gelo l’aveva svuotata di colpo ed io camminavo con la solita andatura dubbiosa di chi non ha la chiara idea di dove sta andando, il mio passato ad un passo.
Le sofferenze che mi aveva provocato erano così remote eppure sono le stesse che mi hanno sempre ferito, che mi continueranno a ferire sempre.
Tutti i bar sembravano vuoti anche se c’erano poche persone sedute agli angoli, era tutto fisso, il mosaico della chiesa di Trastevere a zero gradi spiccava in modo insolito.
Nessuno seduto sugli scalini della fontana.
Le chiedo della sua vita in modo insistito, forse per non farmi chiedere della mia, non è mica un incontro facile, potremmo non avere nulla da dirci, potremmo trovarci insopportabili.
È reduce da anni di impegno, prima era più frivola, anche se già sapevo che quella frivolezza non le apparteneva.
Riconosco la sua risata, il modo nel quale la sua lingua guizza fra i denti quando si compiace per qualcosa.
Mi racconta dei suoi ultimi anni, i pezzi sono inevitabilmente frammentari, mi dice della sua casa in un paesino fuori città, si sta bene, è in campagna.

Tornato a casa, leggo che c’è stata una polemica.
Monti ha detto che fare sempre lo stesso lavoro è monotono, il posto fisso è noioso, bisogna cambiare, ha perfettamente ragione.
Non mi interessano le implicazioni socioeconomiche, le discussioni sul precariato,  ha esistenzialmente ragione.
Bisogna cambiare, mi dico, la crisi è una parola troppo seria per essere utilizzata nella stretta attualità; la crisi ha a che vedere con cinte di contenzione, con parole ripetute davanti ad uno specchio, con le piccole litanie che ripetiamo da anni senza nemmeno accorgerci che stiamo diventando fragili.
Non riesco a dormire, non sono preoccupato per qualcosa in particolare, penso alla coppia del manifesto, a tutti i miei coetanei, anche ai più estranei, vorrei smetterla di pensare a me, una volta per tutte.
Farei di tutto per dimenticarmi ed annullarmi.
Quando lo faccio nessuno se ne accorge, mi intrometto nei dettagli delle vite altrui, in quello che mangiano, è un modo per dichiarare che mi preoccupo per loro.

2 commenti:

  1. Quando sei in movimento tutto il resto sembra fermo. Quando stai fermo tutto il resto sembra si muova.

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