martedì 26 luglio 2011

Contro il revival

Quando sono le quattro e mezza di notte non hai più il senso della vergogna e puoi ballare qualsiasi cosa.
Non sto parlando degli anni Ottanta, quelli sono storicizzati e rivalutati, avevano musiche solo in parte scadenti, continuano a rivivere nella dance contemporanea nascondendosi in mille forme.
Né degli anni Settanta con il funky e quelle derive orchestrali illogiche: la disco dance perfetta, eterna.
La trash vera è quella anni Novanta. 
Gli anni novanta erano gli anni Ottanta simulati, ripetuti senza entusiasmo, a tavolino, come a tavolino gruppi di dj ed etichette discografiche olandesi e belghe decidevano di ingaggiare cantanti spagnole e di fare hit in castigliano mescolando basi di Rotterdam e ritmiche dalle suggestioni latine.
Così sono nati singoli perfetti come Bailando Bailando o Bandolero pensati per l’Europa diventata ormai unita, puntavano all’Est come all’Ovest ora che il comunismo era definitivamente archiviato.
Gruppi nordici rubavano la scena a britannici e statunitensi, nascevano collaborazioni fra musicisti che duravano due anni, erano gruppi virtuali con sedi in città improbabili e fabbricavano musica dall’immaginario spiaggesco.

Alle quattro e mezzo, così,  può capitare che gente di diversa nazionalità balli con molto più entusiasmo Bailando Bailando dell’ultimo  pezzo di Lady Gaga, oppure dell’ultimo remix della Lambada di Jennifer Lopez, ancora i maledetti Ottanta che hanno monopolizzato la nostra esistenza e non vogliono dannatamente lasciarci perdere.

Un brano come Bailando Bailando, quando avevo gli anni per ballarlo, mi faceva schifo, se lo mettevano in una festa scuotevo la testa e mi muovevo controvoglia, se proprio non potevo farne a meno.
Di certo non urlavo né battevo la mani o ripetevo la strofa del ritornello composta da parole così semplici che chiunque era in grado di ripeterle, una sorta di esperanto della disco.
La parte dell’inciso nelle canzoni da discoteca di quel periodo aveva raggiunto un vuoto così assoluto che di sicuro doveva significare qualcosa.
Non può essere che sia tutto lì, nella richiesta di baci, nel solito fascino dell’uomo latino.
Torno a casa e un brano come Bandolero mi resta in mente come non mi è mai capitato all’epoca, quando credevo ancora nella discoteca come mezzo di abbordaggio, quando avevo venti anni e tutto mi sarebbe stato perdonato, quando ero a Lloret de Mar, in un lungomare creato della speculazione edilizia più selvaggia.

Eravamo sulla costa Brava, uscivamo soltanto alle cinque, il mare non meritava, non era abbastanza pulito, soffiava sempre vento, non ti veniva voglia di fare il bagno.
Eravamo troppo provinciali per posti del genere, gli italiani erano ancora una minoranza, seppure in aumento.
I tedeschi erano la comunità più rappresentata, le pr sul corso principale ci offrivano le consumazioni e  le riduzioni sui biglietti in discoteca; i pr uomini promettevano figa con la schiuma, esibizioni di cubiste fra bolle di sapone, il loro sguardo furbesco prometteva molto più di quanto poteva mantenere.
Andavamo in localini moderatamente turistici  con le sedie di legno grezzo e mangiavamo sopra finte botte di rovere.
Bevevamo sangria scadente, la avrei vomitata dopo qualche ora, una volta intasai il lavandino e non mi ricordavo di averlo fatto, mi ero svegliato di notte come un sonnambulo.
Avevamo le formiche che ci camminavano in albergo e le combattevamo con la schiuma da barba però eravamo sempre inappuntabili in camicia e polo, riconoscibili come italiani che hanno il senso della moda.

L’unico che scopò lo fece il giorno dopo che eravamo arrivati, a inizio serata e con la discoteca ancora mezza vuota, si portò in bagno una francese,  ci illudemmo che fosse facile e non ci impegnammo come avremmo dovuto.
La canzone dell’estate era Saturday Night di Whigfield, nel videoclip una ragazza in asciugamano  si vestiva per uscire, si truccava.
In tutti i videoclip si usava lo split screen: a due, tre, quattro riquadri, a volte simmetrici, a volte a geometria variabile.
Da un lato la ragazza in primo piano, da un altro qualcuno che ballava, da un altro ancora qualcuno comunicava con qualche mezzo, preferibilmente il telefono fisso, o faceva un’attività fisica qualsiasi per esibire il corpo.
In quasi tutti i videoclip dell’epoca c’era, prima o poi, una ragazza che doveva scegliere un vestito, che si guardava lungamente allo specchio o sceglieva il colore del rossetto, si esagerava la fisiologica vanità femminile.
C’erano sempre ragazze che si dovevano preparare per il venerdì o sabato sera, ce ne sono anche nei video contemporanei ma sono aggressive ed irreali, e i video hanno montaggi veloci che non mimano la realtà ordinaria.
Ora le cantanti da disco sono quasi sempre bionde intercambiabili, molto fighe, prima prendevano anche ragazze magre e con il naso pronunciato.
Ragazze fra il mediocre e il sufficiente, le sistemavano per farle apparire desiderabili.
Come la cantante dei Paradisio, il gruppo di Bandolero e Bailando Bailando, Wikipedia dice che il gruppo è esistito fino al 2003 ma in realtà ha avuto solo tre anni di successi, dal 1995 al 1998.

Vado a rivedere il videoclip: ci sono i ballerini gay che fingono di essere incredibilmente virili e ballano a petto nudo facendo piroette, e immagini di spiagge e mari che non sono affatto tropicali ma pretendono di esserlo.
Cascate d’acqua cadono su corpi disponibili al martirio, la cantante flirta in modo esplicito con i ballerini dando l’esempio di ciò che era auspicabile aspettarsi in disco.
Assomiglia a Lady Gaga: caschetto blu, trucco simile, eppure di lei non è rimasta traccia alcuna.
Se ne andò dal gruppo nel 1998, saliva solo lei sul palco ma c’erano due dj che producevano e componevano, se si può usare lo stesso verbo che si usa per le sinfonie di Mozart, i brani.
I due dj presero un’altra cantante spagnola, provarono a fare altri singoli ma questi gruppi hanno una data di scadenza precisa ed era giusto che fosse così, ballare per tre estati era già un successo.
Mi immagino il dj belga nel suo studio che si chiede se resisteranno un'altra estate, la sua ansia.
Forse immaginava che i loro brani di enorme successo a stento avrebbero varcato l’autunno, non avevano la forza di altri brani, non sarebbero diventati evergreen remixabili con facilità come Rhythm of the night di Corona o Rhythm is a dancer degli Snap, inni da villaggio vacanza adatti ad ogni occasione.
Ma forse quella è la loro forza, restare per tanto tempo inascoltati e rimossi, tornare all’improvviso alle quattro e mezzo e resuscitare di colpo.






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