mercoledì 27 luglio 2011

Contro il valdese

Sembro l’uomo più buono del mondo, o almeno il più pacifico, solo per chi non conosce i miei scatti di rabbia.
I miei scatti di rabbia erano il problema fondamentale con S., lei era mansueta e vegetariana.
Una volta mi mandò dall’omeopata per risolvere la questione: era una dottoressa gentile e sorridente, l’emblema perfetto della medicina alternativa.
Mi fece delle domande sul perché fossi lì,  mi chiese del corpo e della mente, si mise a scrivere velocemente su un foglio come una psicoanalista dai modi spicci.
Le parlai dei miei scatti, cercai di spiegarle le mie motivazioni, forse barai un poco, alla fine mi diede un rimedio adatto a chi ha un forte senso della giustizia.
I miei scatti sarebbero dovuti ai tentativi di raddrizzare le cose che mi sembrano ingiuste, aveva fatto il ritratto di un utopista che non ero.
I miei scatti di rabbia non hanno nulla a vedere con l’alcool o con l’assunzione di sostanze esterne, sono già dentro di me, sono me.
A volte dipendono dalle circostanze, a volte dalle persone.
Avevo sempre avuto un pregiudizio positivo e immotivato nei confronti dei valdesi, qualcuno mi aveva detto che erano più aperti dei cattolici, che addirittura meritavano l’otto per mille.
Non so molto dello loro storia e forse nemmeno mi interessa, so che arrivarono dalla Francia, che sono insediati prevalentemente nelle valli piemontesi, che hanno subito delle persecuzioni in quelle idiote controversie religiose medievali che non capisco.
Infatti il pastore che affitta la terrazza in pieno centro ha l’accento piemontese e non di Torino, parla un italiano strano, con parole formali e burocratiche che mette una affianco all’altra in modo piuttosto sgangherato.
Invece di fermare dice stazionare, invece di deviare direzionare.
Non ti guarda mai negli occhi, ha il viso pingue e il mento cascante, ha quarant’anni che potrebbero essere sessanta come trenta, in bocca mastica un sigaro incongruo, non si armonizza con la sua figura.
È un timorato di Dio, non capisco come possa trattare con le persone, figuriamoci con le anime.
All’appartamento al piano di sotto ci sono quadri di vecchi pastori con i baffi spioventi, sono vestiti in modo sobrio, questo invece non ha autorità, Roma l’ha rovinato, è una città grande e piena di tentazioni, vivere  vicino Piazza Venezia può essere pericoloso per un membro di una minoranza religiosa.
Il terrazzo che fitta è sul tetto del loro palazzo, ad angolo con Piazza Venezia, si vedono l’Altare della Patria e il Quirinale, San pietro e alcune colline fuori Roma.
Lo abbiamo preso per farci una festa, il tipo è di quelli che non sa cosa sia la franchezza così so che avremmo problemi, l’ho capito dal giorno prima.

Mi era antipatico e sapevo che la sua bonomia apparente non ci avrebbe procurato nulla di buono, si mostrava disponibile, cercava di smussare i problemi non affrontandoli,  aveva lo sguardo spaurito di chi scappa.
Cercava di minimizzare le eventuali lamentele dell’olandese vicino di casa, un colonnello che si era messo nel suo angolo in terrazza a leggere libri, probabilmente di storia.
Mi piace organizzare feste, è la parte solare del mio carattere, quella che cerco di nascondere nelle foto non scattate a tradimento, quella che combatto come se fosse poco dignitosa.
E’ una parte di me che è stata sempre in contrasto con le ragazze con cui sono stato, sempre introverse o misantrope, almeno nella fase in cui mi incrocio con le loro esistenze.
Non amavano le feste e gli assembramenti, erano capaci di tenere il broncio o di dichiararsi annoiate nel mezzo di una situazione confusamente divertente.

Con alcuni amici pazzi malati, qualche anno fa, organizzai una festa delle medie 1985.
Nella festa c’erano letture sugli anni ottanta, il gioco della bottiglia rivisitato e musica a tema.
Ho provato a organizzare altre feste, alcune sono rimaste ipotetiche e virtuali come La Festa della Luna, altre sono fallite come una festa di cui non ricordo nemmeno più  il nome.
Altre feste invece poi le ho davvero messe in piedi, per i miei trent'anni affittai una consolle e chiesi agli invitati di fare il deejay portando i propri cd.
La festa riuscì ma io feci il deejay solo per cinque minuti.

La mia parte preferita delle feste è la vigilia, o la conclusione, con quella sensazione malinconica in cui puoi crogiolarti.
Di solito durante le feste, se sono coinvolto in qualche modo, c’è sempre qualcosa che non va.
Un gioco che non si può più fare, un mixer che salta, un cavo a cui non ho pensato, oppure la gente che giustamente decide che i miei piani sulla festa sono diversi dai loro desideri, così si crea sempre una inevitabile distanza fra quello che ti aspettavi dalla festa e quello che realmente accade.

Quando stavamo mettendo la musica a mezzanotte e mezzo e il valdese è venuto per la prima volta a chiederci in modo timido di abbassarla radicalmente, abbiamo provato solo a abbassarla leggermente.
Il valdese si avvicinava senza salutare, in modo poco convinto, aspettandosi già il peggio, il suo atteggiamento da vittima predestinata istigava alla violenza.
E’ tornato due volte, prima ha interrotto la dance anni novanta, c’era la terribile Scatman, dopo era previsto
Saturday Night e Bailando Bailando, la gente si stava divertendo come nelle mie previsioni, mi piace vedere ballare la gente, prima o poi comincerò  davvero a fare il deejay.
La seconda volta la gente era era giù un po’ troppo rilassata ma stavamo provando a risvegliarla in tutti i modi, non avendo libertà sul volume, l’unica soluzione era puntare su canzoni dall’energia indiscussa,  c’era The Passenger, dopo erano previsti i Clash.

Non si può interrompere Iggy Pop dopo venti secondi, eravamo appena entrati nel primo inciso quando ha detto stoppate tutto, sempre senza salutare, sempre con quell’aria da spaventato, sempre incespicando, sempre parlando come su un terreno accidentato, senza nemmeno riconoscere la canzone.
L’ho aggredito con le parole, gli ho detto che non c’era nessuna onestà nell’affittare un terrazzo dei suoi avi e intascare i soldi per sé in nero, che l’avrei potuto denunciare, che doveva stare attento, l’ho minacciato ma ho pensato anche di peggio.
Ho pensato che la sua comunità a Roma è inesistente e quel palazzo sovradimensionato dovrebbero toglierglielo, ho pensato che lui non è un pastore degno dei suoi antenati nelle foto al piano di sotto e dovrebbe ammettere la sua inadeguatezza.
Il valdese non mi ha risposto, ovviamente non mi ha nemmeno guardato, soltanto dopo ha detto ad altri di esser stato aggredito verbalmente e perfino fisicamente, ha avuto paura, ha sempre paura.
Qualcuno si è avvicinato e mi ha calmato anche se in realtà il mio scatto di rabbia è durato molto meno di quanto è sembrato, stava già scemando, c’era della posa dentro, c’era la mia parte teatrale, quella che mi fa sbattere i piedi rimanendo sul posto.
Penso di averla presa da mio padre, si arrabbiava se le nostre partite di Subbuteo sulla moquette diventavano troppo lunghe, veniva e sbatteva i piedi provando a fare la faccia feroce, sapevamo che non avrebbe mai alzato una mano.
Non entrava nemmeno in campo con i piedi, al massimo per sbaglio, per errore di misura, sono rimasti decapitati un paio di giocatori.
Non mi pento della mia rabbia, semmai della mia parte teatrale sì.
La rabbia dovrebbe essere completamente sincera e assoluta.
Se provi gioia sii felice completamente, se provi rabbia sii rabbioso con tutto se stesso, senza compromessi, senza reprimerti.





1 commento:

  1. Eccola! l'aspettavo! :)
    Grande come al solito caro Critico!
    giusto, il Valdese boy-scout non minimamente al pari dei sui barbuti e seriosi avi! e poi visto che si muove così tanto poteva fermarsi per due salti con noi!!!
    G.

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