mercoledì 13 luglio 2011

Contro l'alta velocità


Nella mia vita ho preso molti treni notturni, li prendevo quando vivevo a Milano e scendevo verso Salerno.
Li conosco bene, so chi ci viaggia, una volta volevo fare un documentario tutto girato sui treni raccontando le storie di quelli che lavorano tutta la settimana al Nord in qualche cittadina della pianura padana e tornano a Napoli per il fine settimana, di solito faticano in imprese di costruzione come muratori o fanno gli operai più o meno specializzati.
Oppure volevo mostrare i militari di leva che andavano a fare il carro e viaggiavano in gruppo parlando di licenze e di piccoli soprusi con la soddisfazione degli eletti.
I treni notturni diretti verso Sud erano sempre pieni di gente orgogliosa di portare la divisa anche quando avrebbe tranquillamente potuto farne a meno.
Il documentario lo fece poi un regista che ora è considerato una specie di genio, tale Pietro Marcello, è pure delle mie parti, solo che invece di far vedere le storie che non riusciva a seguire perché troppo chiuso in se stesso, nel documentario partì per la tangente con immagini di binari e tentativi mancati di poesia notturna.
I treni notturni non li prendevo da un po'', quasi  me ne ero dimenticato l'esistenza in tempi di alta velocità.
Negli espresso c'erano dei quadretti che avevano un'aria quasi risorgimentale, sopra illustrazioni campestri o edifici architettonici di qualche provincia anonima della penisola.
Nei corridoi a volte c'erano anche dei quadri più grandi con una mappa dell'Italia che aveva qualcosa di pre-bellico, le regioni erano delimitate con colori differenti, mi ricordavano le mappe di alcuni libri di storia da scuola media.
I quadri borghesi contrastavano con le donne e gli uomini che si portavano dietro il mondo in valige che mi ricordavano libri e canzoni ormai passate o sul punto di passare.
In realtà anche quei vecchi e quelle valige stavano per sparire e i trolley erano sul punto di prendere il posto delle borse morbide.
L'altra settimana ho preso un treno notturno dopo molti anni, nessuna traccia dei quadretti, chissà in che magazzino li hanno riposti.
Le cose funzionano peggio di prima da quando l'Italia ha puntato sull'alta velocità ma dietro questa considerazione non c'è nessun intento politico, non so nulla ad esempio della questione no Tav della Val di Susa, non so chi abbia ragione o torto.
Semplicemente noto che sul treno notturno le cose vanno sempre peggio: i bagni sono sempre più rovinati, le poltrone corrose dal tempo e smangiucchiate dagli acari, le tendine lise.
Nulla si chiude bene, nulla si apre bene, i finestrini sono rumorosi come il vento che entra di notte in mancanza di aria condizionata, ma questa in fondo è una cosa buona.
Quando sei su un espresso notturno sei sopra a un treno ancora, non è come con gli Eurostar dove sei sopra la pallida imitazione di un aereo con l'aria compressa nei vagoni e quei tentativi patetici del personale di bordo di prima classe di spacciarsi steward e hostess.
Nel treno che prendo in direzione di Bardonecchia c'è una coppia vecchio più giovane, sono padre anziano più figlio giovane, anche se facendo due conti potrebbero anche essere nonno precoce e nipote maggiore.
Il figlio/nipote è gentile più di quando mi potessi aspettare dalla maglietta con stampato sopra un enorme carro armato e una scritta che deve indicare il nome in codice del mezzo o una missione militare dimenticata.
Un mezzo militare ormai vetusto e una t-shirt di cui inutilmente cerco di comprendere la genesi.
Il giovane avrà vent'anni, ipotizzo che suo fratello maggiore abbia partecipato a quella missione.
Il vecchio anche è gentile,si intuisce dallo sguardo, non dalle parole, perché quasi è muto.
Scopro che non è muto soltanto quando lo sento parlare in corridoio, in modo improvviso chiede al controllore se il treno è in orario, in italiano stentato ma corretto.
Il controllore gli dice di sì senza nemmeno rallentare il passo, con sufficienza e una punta di arroganza riservata a quelli che non contano.
Ho sempre detestato i controllori quando trattano così i più deboli perché so che dopo saranno deferenti con i forti.
Mi viene voglia di dire al vecchio che questi treni qui non sono mai in ritardo perché ci mettono una vita per arrivare, capita persino che viaggino troppo veloci, in fondo di notte non possono mica fermarsi ad ogni stazione e così a volte si fermano in mezzo al nulla, al centro di una pianura, e in quel momento i passeggeri si svegliano all'unisono e guardano fuori nella notte e si chiedono reciprocamente dove ci si trovi e nessuno lo sa e la domanda sembra fatta per rassicurarsi a vicenda.
Su treni notturni come questi ho passato notti senza quasi dormire, ho conosciuto gente strana, mi ricordo un tipo che cambiava rapidamente argomento in modo allegro, da napoletano colto.
Aveva deciso di mettersi al centro del vagone come se fosse una scena: c'erano una ragazza cattolica, una vecchia all'apparenza introversa e un altro signore di mezz'età dall'aria ingegneristica, e poi c'ero io.
Il tipo, visto che era un treno strapieno e che nessuno aveva intenzione davvero di dormire fino alle 3, decise di parlare della vita in modo straordinariamente vago e generale, come si può fare solo in un vagone e non certo in quell'open space pieno di trilli e segnali minimi di allarme che sono gli Eurostar.
Faceva domande, esigeva risposte, spargeva battute come riesco talvolta a fare io adesso.
Il tizio più incredibile però che ho conosciuto in un treno notturno è Il folle dei peluche.
Aveva con sé decine e decine di leoni, tigri e pantere di peluche, sosteneva che gliele avessero date in una specie di asta di beneficenza o qualcosa del genere e che fossero di un materiale speciale, venivano prodotte in qualche parte dell'Africa dove sosteneva di essere stato, dietro c'era qualche oscuro scopo sociale che non ricordo più.
Li portava giù ai suoi nipoti e agli amici dei nipoti, e poi se ne fossero rimasti ancora abbastanza, agli amici degli amici dei nipoti.
Era di Battipaglia, vicino casa mia, era magro e alto, con un accenno di pizzetto e capelli lunghi lisci, venni a sapere che era stato per qualche mese in una clinica psichiatrica, che aveva scritto un libro di poesie dal titolo "Ho fatto l'amore con Gesù" e dal modo di fare sembrava omosessuale anche se ci teneva a smentirlo parlando occasionalmente di una sua ex fidanzata.
Il resto dello scompartimento non gli diede molta corda, io ero interessato invece al libro di cui non voleva rivelare i segreti profondi, ai suoi viaggi inventati in Africa e ai ripetuti attacchi alla sua città e all'ambiente familiare in cui era cresciuto.
Sosteneva di essere un artista, ma io vedevo solo il folle e l'effeminato represso.
Quando scendemmo a Salerno mi chiese se lo aiutavo a portare i suoi peluche, continuava a parlare dei suoi peluche come qualcosa di prezioso.
Lo aiutai a trasportarli fino alla banchina, poi recuperò una specie di carrello e li mise tutti su, mi accorsi che portava una valigia molto piccola.
L'ho visto di spalle arrancare per uscire dalla stazione, aspettava qualcuno.


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