giovedì 21 luglio 2011

Contro le monete

La metro a Buenos Aires non è così sottoterra come a Roma, il cellulare prende bene, la telefonai che era uscita da poco dal lavoro ed era sulla strada di casa.

Ero a Roma e le dissi che mi piaceva ascoltare i suoni di una città che ancora non conoscevo, si mise a ridere, ebbi l’impressione che pensasse fossi intelligente, i rumori non erano poi tanto diversi da mille altre città, non avevo detto nulla di così acuto.
La metro a Buenos Aires funziona meglio che a Roma, è meno affollata, anche d’estate non fa mai un caldo infernale ma lei comunque la detestava; detestava il contatto umano degli sconosciuti, non sopportava il loro odore, in cambio aveva un senso dell’estetica quasi perfetto, astrattamente perfetto, come una nazista.

La metro lì è molto più capillare e moderna, hanno più linee, non hanno problemi di rovine romane né le scocciature degli archeologi e dei soprintendenti con le loro inutili scoperte di scavi antichi.
Anche gli autobus sono bellissimi.
Ogni linea ha un colore diverso, sono degli autobus vecchi che assomigliano più a delle corriere però vanno più veloce dei nostri tutti identici e anonimi, e gli autisti sono più bravi a guidarli, sono più coraggiosi.
Qui ogni tanto fanno dei concorsi per reclutare degli autisti e prendono un po’ di tutto: giovani raccomandati di politicanti da circoscrizione che non hanno alcuna conoscenza né passione per il mezzo, ultimamente tendono ad assumere donne dalla faccia terrorizzata, in ossequio idiota alle pari opportunità.
Gli autobus di Buenos Aires sono più inquinanti e più frequenti, viaggiano tutta la notte.
Li chiamano colectivos, suona come qualcosa di populisticamente demagogico, come demagogico è il concetto di popolo lì.
El pueblo unido, la solidaridad, il corteo funebre dell’ex presidente era pieno di sindacalisti e di bandiere con il volto di Evita.
In Europa abbiamo una visione del Sudamerica molto idealizzata, ogni volta che in un festival c’è un progetto di documentario sul Sudamerica pensato da europei inizio a preoccuparmi, di solito siamo banalmente buoni.
Pensiamo che lì ci sia uno spirito intatto, i luoghi comuni di Gianni Minà sopravvivono ancora, ad esempio nelle canzoni dei Negrita che dicono rotolando verso sud e citano in ordine sparso Città del Messico e Buenos Aires, San Paolo e Napoli, oppure nei ritmi sudamericani importati dal pop rock più becero.
I disegni sulle fiancate dei colectivos hanno qualcosa di tribale, sembrano strisce indiane.
Ci sono molti segni indiani in Argentina anche se di Indios non è rimasto nulla, perfino sulla bandiera c’è un sole rubato a una tribù trucidata dai loro generali spagnoli, eroi nazionali.
Per non parlare degli emigranti italiani, tedeschi e polacchi che nulla hanno delle popolazioni native. Una volta vidi davanti a una banca una guardia armata bionda, era un tedesco di quelli che in Germania ormai non ne nascono più, il prototipo dell’ariano dallo sguardo bovino, un perfetto kapò da campo di concentramento.
M. aveva fatto una tesi su questo argomento, la appropriazione dell'identità Indios per costruirci sopra l'immaginario di una nazione, per uno dei suoi dieci corsi, ecco perché so qualcosa dei segni Indios, ma non molto in verità.
Me ne aveva parlato una delle prime volte, pensavo ad altro, l’avevo ascoltata solo parzialmente, sapeva essere maledettamente verbosa e monologante, come me, più di me.
Mi inviò anche una versione della sua tesi in pdf, da qualche parte del mio computer deve esserci ancora; non l’ho mai letta, non la leggerò più.
Faceva tesi molto politicamente corrette dal punto di vista antropologico, contraddette dal suo comportamento negli autobus e per le strade.
Ci eravamo conosciuti da poco e mi telefonò da Palermo, era un po’ spaventata perché era pomeriggio e per arrivare al centro della città aveva preso un autobus e sopra c’erano quasi tutti neri, le chiesi qual era il problema, stupito.

Sui colectivos c’è sempre musica, non quei suoni che si ascoltano su certi schermi al plasma degli autobus romani che fanno da sottofondo a orrende animazioni con eventi, oroscopi e storielle.
La musica viene dalle stazioni radiofoniche su cui si sintonizzano gli autisti per il tragitto.
Il biglietto si paga salendo dalla porta anteriore: uno y veinte, uno y veinticinco, lo dici all’autista che preme dei bottoni corrispondenti alla tariffa, quindi devi inserire le monete dentro una macchinetta.
Il sistema tariffario per i percorsi è molto complesso, M. liquidò la cosa dicendo paga sempre uno e veinticinco se non sei sicuro.
Il problema principale quando devi prendere un autobus è proprio l’approvvigionamento delle monete.
Il problema delle monete a Buenos Aires è una delle cose più idiote che abbia mai visto in tutta la mia vita, le monete sono indispensabili per girare in colectivos, non ci sono altre forme di pagamento ma c’è una incredibile carenza delle stesse.
Tutti conservano le monete che riescono a ricavare dalle spese quotidiane e non se ne privano per nulla al mondo.
La stragrande maggioranza dei prodotti nei chioschi sono venduti a un prezzo determinato per evitare di doverti dare il cambio in monete, ognuna è preziosa.

Tutti prima o poi sono costretti ad andare in banca per cambiare le banconote in monete, capitò anche a me.
Mi accompagnò M., quando se ne andò la salutai con un bacio sulla fronte, non so perché lo feci, non intendeva essere un gesto protettivo.
Lei mi disse mi piace così, voglio che mi saluti così sempre, sorridendo felice, non voleva baci sulle labbra in pubblico.

M. aveva una piccola scatolina dove conservava le monete, le mettevamo ogni volta che ne avanzava una e da lì le prendevamo quando serviva.
Io non ero abituato a questa cosa delle monete e così capitava che le usassi per comprarmi un caffè o il giornale quando avrei potuto evitarlo, qualche volta inavvertitamente mi feci fregare dando un veinte cent preziosissimo a qualche negoziante furbo.
Era inevitabile che prima o poi avremmo discusso su questo, l’ultimo litigio fu proprio colpa delle monete.
Eravamo davanti alla fermata e mi accorsi che non avevo soldi sufficienti, non mi ricordo dove era l’errore, ma quando contammo le monete mancavano veinte cent.
Forse mi ero confuso  e nella fretta di uscire di casa avevo sbagliato a conteggiare l’importo esatto oppure avevo perso qualche moneta dalle tasche.

L’autobus arrivò troppo presto senza darmi il tempo di  comprare qualcosa al negozio all’angolo, lei intanto mi diceva che non potevo sbagliarmi, mi diede dell'idiota, non pensava più in quel momento che fossi così intelligente; 
io le risposi dandole della stronza, non avevo mai pensato fosse davvero buona.
Era in ritardo e salì sull’autobus, io rimasi giù e presi quello dopo.
Quell’ultimo litigio ovviamente era solo una goccia, non cambiò niente, tutto era già cambiato.
I conti non tornavano, certo non per colpa delle monete.

Tornato in Italia mi accorgo che di tutti i miei viaggi restano sempre le monete, dentro vecchi portafogli, lasciate distrattamente sopra mensole, incastrate nei posti più impensabili.
Ho fiorini ungheresi, corone norvegesi, penny inglesi, lire turche, ma non pensavo di avere pesos argentini.
In fondo erano così difficili da trovare e se ne avevo conservato qualcuno, pensavo di averlo speso prima di partire.
Ero arrivato cinque ore prima del volo come se non vedessi l’ora di staccarmi.
L’altra sera invece ho trovato un veinte cent, era in fondo ad uno zaino, chissà magari ero quello che mi mancava per il biglietto.

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