mercoledì 3 agosto 2011

contro giovani




Una volta me l’ero presa con i vecchi del quartiere, non li conoscevo o me la prendevo con i vecchi sbagliati, quelli degli autobus, quelli che hanno deciso di fare unicamente il tragitto supermercato casa.
Ora i  miei migliori amici del quartiere sono alcuni vecchi: gli ospiti fissi del bar anni sessanta.
I giovani non hanno buon gusto, frequentano i bar contemporanei.
Da molto tempo speravo di avere un bar di quartiere dove essere riconosciuto e riconoscere.
Sarà stata colpa della visione infantile di telefilm americani dove è normale sedersi solo al balcone e bere qualcosa, e sai sempre che troverai qualcuno che ti conosce.
I film americani  dove è normale andare solo al bar, rimorchiare al bar, vivere al bar, qui non è così.
Da noi è l’eccezione, ogni tanto qualche locale giovanile e alternativo cerca di istigare alla frequentazione solitaria ma il barista può sopportare di vederti solo per un lasso di tempo limitato, poi inizia a guardarti in modo diffidente.
Così per me è stato sempre difficile andare da solo al bar, mi devo sempre forzare, ritorno timido di colpo, per questo mi piace essere all’estero, in quasi tutti i posti puoi sentirti a tuo agio.
Sono anche ossessionato dal bar in genere, ho scritto progetti di documentari su bar, serie televisive su bar, sono un esperto di bar, anche quando penso cose nuove mi capita di farlo in un bar.
Un bar come quello della Lina di Milano, rimasto identico dagli anni ‘50, ha le luci di Natale anche a ferragosto, e dei festoni carnevaleschi attaccati alla pareti e risalenti a decenni fa.
Ci sono sconosciute sottomarche di liquori, c’è uno specchio dietro il bancone, e mi sembra ovvio che dietro i banconi ci debba essere sempre uno specchio.

Per un sacco di tempo ho pensato che nel mio quartiere non esistesse un bar in cui potessi essere riconosciuto, che fosse più tipico di quartieri popolari.
Adesso invece l’ho trovato e sono stato identificato e catalogato: sono l’uomo con il computer.
Di fronte a me c’è un gruppo sempre uguale.
C’è la abruzzese dalla battuta pronta, avrà novant’anni, da giovane era bella come un fiore, flirta con il vecchio bellimbusto dai denti marci e dal fisico impeccabile.
Magro, alto , zoppicante, romano di quelli buoni, ogni pretesto è valido per parlare di morte e cimiteri con la stessa leggerezza che ci metteva Raimondo Vianello, in modo laico, disincantato, per nulla preoccupato.
Fa una battuta agli altri e poi dedica a me uno sguardo, facendo solo cenni da controcampo, sono il bersaglio finale del suo spettacolo, l’interlocutore esterno.
Poi c’e una coppia leggermente più giovane, hanno ancora una vita sociale fuori dal bar fatta di cene, spettacoli teatrali di rivista e qualche cinema domenicale.
Il marito ha gli occhiali da sole e lo sguardo probabilmente burbero sotto, mi saluta come un ex militare, è appassionato di ciclismo e calcio.
Sua moglie è quella vestita meglio, anche lei ex bella, la più giovane di tutto il gruppo,  di buon cuore, mi guarda sorridendo,pensa che stia lavorando su chissà che cosa sul mio computer e ogni tanto mi chiede scusa perché parlano a voce altra.
Poi ogni tanto arriva l’outsider, tarchiato, con cappellino da baseball, quando si siede inizia a parlare in modo monologante, la vecchia abruzzese non lo sopporta e smette di parlare, si incupisce o semplicemente si annoia, aspetta che se ne vada per riprendere la sua aria da finta svampita.

Di solito parlano di tutte le proprietà del quartiere, di storie di corna, di faccende minime condominiali, quando l’argomento è malanni e malattie, viene citato in modo poco melodrammatico e si tratta sempre di malanni altrui.

Si parla molto di cose che si sono mangiate, che si mangiano,  che si mangeranno.

A una certa ora arriva il grande invalido, vestito con camicie colorate oppure grigie, si prende una bottiglia di birra grande, la sua invalidità è l’uso di droga passata o presente ,cerca di intromettersi in qualche discorso altrui, ci riesce di rado, ragiona meglio di come sembra, ha una madre generosa che gli passa i soldi.

In prossimità dell’ora di chiusura arrivano i cinquantenni, persone dalle esperienze diverse, unite da qualche lavoro manuale non troppo impegnativo, dall’elettricista al tappezziere, conoscono meglio di me il gruppo dei vecchi ma non ci comunicano mai, vogliono apparire produttivi e in azione.
Hanno buste della spesa, bollette pagate, fanno discorsi meno interessanti dei vecchi, fanno commenti sul calcio e la politica, cercano di esprimere opinioni moderate e sensate, questo li frega, sarebbero molto più efficaci se fossero davvero qualunquisti, in modo fragoroso, come sanno esserlo i vecchi.
Ogni tanto il vecchio magro si rivolge direttamente  a me dicendo se sto registrandoli, ha preso il mio computer per uno strano apparecchio audio video, ridendo mi dice registra lei, rivolgendosi all’abruzzese novantenne.
In effetti non può sospettare che li sto davvero spiando fra una pausa e l’altra e che gli avrei dedicato un contro del mio blog.

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