giovedì 17 febbraio 2011

Contro il lavoro


Che l’Italia sia un paese fondato sul lavoro lo dice il nostro articolo 1.
D’accordo è anche la pizzettara di Piazza Vittorio, dice di aver imparato fin da piccola che la cosa più importante è lavorare sodo, duro.
La signora occhialuta con una prosciutto e funghi in mano annuisce, ha il volto dell’impiegata di basso rango e sostiene con un detto mai passato di moda che il lavoro nobilita l’uomo.
Passare scartoffie non la nobiliterà di certo.
In questa pizzeria a taglio tutti sembrano concordi su questo punto che unisce destra e sinistra, sopra e sotto, industriali e operai si sarebbe detto in altri tempi.
Anche la mia ex era convinta di questo, ogni tanto mi faceva notare che non lavoravo abbastanza, manifestava i suoi dubbi in modo un po’ indiretto, dubitava delle mie ambizioni.
Lei aveva sempre lavorato  mi diceva, anche quando studiava, qui lo fanno tutti continuava.
Lavoro di ufficio, non tanto gravoso e lei lo sapeva, ben pagato, anzi benissimo pagato tenendo conto dei redditi medi di là.
Se le ricordavo la sua buona stella, che poteva svegliarsi tardi, assentarsi, continuare a fare l’assistente universitaria senza perdere un soldo, si inalberava.
Avevo il torto di essere franco.
Mi diceva che le dava fastidio sentirsi dire che non lavorava abbastanza, chiaramente si sentiva in colpa, il suo piccolo ruolo la definiva, era il tipo che si complimentava per la sua ascesa economica e sociale.
Ascesa che la seguirà come un'ombra tutta la vita, aveva il terrore di ridiventare povera, l’ansia della gratificazione.
Tutti si definiscono per ciò che fanno, chi ti chiede come prima cosa che fai e non chi sei non ha capito nulla della vita.
Spiegarle queste cose era pressoché impossibile, ero costretto a eludere, a rimanere sulla superficie, laddove tutti vogliono che tu rimanga.



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