lunedì 27 giugno 2011

Contro gli umanisti

Tutto iniziò quando lessi un annuncio di una radio che cercava dei collaboratori, da tempo avevo l’idea di mettermi dietro a un microfono, puntavo ad emittenti minuscole e sconosciute dove magari avrei proposto trasmissioni notturne in cui sfogare le mie stupide pulsioni narrative.
Così andai all'incontro, la stazione era in un appartamento anonimo, non lontano da casa mia.
Il direttore della radio era un tizio che lavorava in un ufficio comunale, una specie di geometra o tecnico del catasto, quasi subito capii che l'annuncio era una specie di esca.
Il tipo era un umanista e quella radio si ascoltava a malapena in certi quartieri della città, la cosa buona era che non avevano nemmeno un palinsesto, erano appena nati e promettevano una certa libertà.
Gli umanisti sono un movimento filosofico-politico piuttosto fumoso creato da un tale argentino che si era dato il nome d’arte di Silo, era un autodidatta senza grandi meriti accademici e durante la dittatura militare aveva fondato un movimento di opposizione non violenta.
Il suo movimento era stato assolutamente impotente di fronte alla repressione del regime e di esso non c'è traccia alcuna nelle cronache convulse del tempo.
Eppure, come un virus, la parola di Silo si propagò in tutto il mondo grazie agli esuli argentini e si formarono comunità piccole ma decise che si fecero strada dando vita a giornali di quartiere e circoli territoriali, sorta di soviet senza pretese che propugnavano una rivoluzione utopica delle anime e si trasformarono in alcuni casi, vedi in Italia, perfino in un partito politico.
Un partito politico orizzontale e reticolare, insomma un movimento come quello di Grillo senza averne né la cattiveria né l'aggressività, impegnato in missioni in Africa o volontariato e nato, per sua sfortuna, in epoca pre-Internet.
Di tutto questo però il direttore non me ne parlò affatto nel nostro primo incontro. Era vago, non voleva spaventarmi, metteva l'accento sul fatto che non chiedessero nessun impegno, la sua idea era attirare dentro la gente per poi convincerli pian piano.
Per far questo organizzava a casa sua riunioni informali in cui cercava di abituarli gradualmente alla parola di Silo, come hanno fatto probabilmente i primi cristiani appena usciti dalle catacombe.
I nuovi arrivati non sapevano nulla di Silo, non era come avvicinarsi a Scientology o far parte dei leninisti, dovevi fidarti e seguire le parole di qualcuno di cui nessuno discuteva, su cui non potevi avere nessun pregiudizio.
Pensai che sarebbe potuto essere divertente e accettai l’invito.
Quando arrivai a casa sua, venne ad aprirmi sua moglie, scoprii che erano un coppia di quarantenni ex socialisti, delusi dalla piega degli eventi generale ma probabilmente anche da quella personale: erano senza figli e non notai nessun segno di felicità nel trilocale accessoriato in variazioni di bianco.
Anche la moglie aveva un impiego pubblico in qualche circoscrizione, anche lei poteva staccare alle due e dedicarsi alla causa del movimento.
Avevano apparecchiato su un tavolino del soggiorno un aperitivo povero a base di salatini, olive e patatine, da bere solo analcolici.
Erano già seduti sul divano due ragazzi con i capelli rasati che vivevano assieme, sicuramente gay che si tagliavano i capelli a vicenda, fuori sede calabresi raccattati in facoltà come me, poi c'erano degli habitué: tre umanisti di provata fede e di cui mi ricordo solo una leggera diffidenza verso i nuovi, e una tipa con i capelli rossi accesi.
La tipa era sicuramente la più interessante del gruppo, era una Vanoni in formato extralarge, aveva un vestito scollatissimo che metteva in risalto due tette cascanti da matrona craxiana, portava collane da bigiotteria che tintinnavano a ogni suo movimento: sempre ampio, mai accennato o discreto.
Fin dalle prime frasi che pronunciò compresi che era una loro amica di lunga data, che non le importava nulla degli umanisti e non aveva alcuna intenzione di collaborare alla radio, aveva voglia solo di essere scopata da cazzi giovani.
Iniziò a far battute a doppio senso ai due rasati, alla fine intuì che da quel lato non c'era nulla da fare e quindi si dedicò a me senza riscuotere il successo sperato, mi lasciò comunque il rossetto sulle guance schioccandomi un bacio forte che minacciava altre avances future.
Il direttore, simile a un Crepet senza ciuffo, dopo un breve preambolo leggero, iniziò a parlare seriamente del senso dell’essere umanisti.
Gli umanisti credono molto nella democrazia diretta e sono dei socialisti utopici con poco o nessun vero substrato ideologico.
Quindi a turno alcuni lessero dei discorsi di Silo e si commentarono alcuni passi, come fanno i testimoni di Geova con la Bibbia.

Ebbi la percezione chiara che la serata avesse potuto, se ci fosse stato il detonatore adatto, trasformarsi in una nottata da scambio di coppie o club privè.
La coppia senza bambini e con una funzione vigilante, la vecchia troia affamata di sesso, la coppia gay del sud ancora lontana dal completo coming out, e in sottofondo discorsi di fratellanza universale non così distanti da una libertà sessuale auspicabile.
A fine serata il direttore regalò a tutti i nuovi un libro con alcuni discorsi di Silo, la cosa che mi colpì è che alcuni di questi discorsi erano stati tenuti davanti a ufficiali dell’esercito russo post-1989.
Silo, pur essendo teoricamente un convinto pacifista, era stranamente molto amato dalle forze armate russe che gli avevano tributato stravaganti onorificenze.
Nei suoi discorsi arditamente definiva l'esercito indispensabile guardiano della pace, una tesi tipicamente destrosa, immagino a quali salti mortali logici sia stato costretto Ignacio per giustificare davanti a se stesso una teoria così in contrasto con i suoi principi basilari, tutto solo per avere un po' di soldi e qualche appoggio utile al movimento.
Movimento che, malgrado la sua estensione planetaria, è rimasto sempre piuttosto marginale rispetto ad altri fenomeni esplosi negli stessi anni.
Mi ricordo che quando diedi la prima occhiata al libro ero arciconvinto che Silo fosse morto, forse per colpa della impaginazione sciatta del volume o per una sua foto in bianco e nero sul retro.
Quando ero a Buenos Aires l'ottobre scorso, però, lessi un foglietto attaccato su un muro in cui si parlava di una commemorazione del maestro Silo da parte di un circolo umanista, in occasione del trigesimo della sua dipartita terrestre.
Era morto, poco prima che arrivassi, a Mendoza ma non avevo ascoltato nulla sulla sua scomparsa, pur leggendo ogni giorno le edizioni on line dei quotidiani argentini.
Era pressoché sconosciuto al di fuori della sua cerchia, persino nel suo paese.
Quando chiesi a M. di Silo e degli umanisti, nemmeno sapeva di cosa stessi parlando, se cercate su Google trovate solo brevi coccodrilli su testate on line insignificanti.
Gli stessi siti degli umanisti mostrano evidenti crepe: alcuni articoli un po' datati, aggiornamenti risalenti a due anni fa, l'impressione è che ci sia stata una emorragia costante verso nuovi movimenti più pragmatici, non so se sia un bene.


Dopo quella riunione andai altre volte alla radio, facemmo anche una specie di puntata zero di un programma ideato dal direttore in cui cui discutemmo un po' di tutto, perfino del Grande Fratello; i partecipanti non tanto, o non ancora, umanisti potevano esprimere liberamente la loro opinione, anche se a reggere le fila era sempre il direttore che qui si rivaleva del suo scarso livello gerarchico nell'ufficio comunale.
Alla fine della registrazione della puntata mi prese in disparte e mi disse che avevo le potenzialità giuste, a differenza degli altri novizi, per poter davvero fare qualcosa di utile per il movimento, era un modo diplomatico per dirmi che potevo fare carriera.
Non so se fosse una strategia o fosse realmente convinto delle mie capacità, in ogni caso mi chiese di passare a un altro livello d'azione ed entrare in una sorta di comitato di zona dove avrei potuto non soltanto lavorare alla radio, ma anche occuparmi di altri ambiti comunicativi.
Mi istigava a non accontentarmi, pensava che la cosa mi invogliasse, aveva visto nel mio sguardo troppo docile un assenso che non c'era; lo so, il mio sguardo è debole, M. mi diceva che a tratti era insopportabile quando era troppo implorante.
In quei momenti non mi amava, lo chiamava lo sguardo vulnerabile; lo conosco, la gente spesso lo scambia per cedevolezza.
Lo pensò anche il direttore della radio umanista ma si sbagliava, non credevo in nessuna ipotesi di carriera, figuriamoci se credevo in una carriera in quel gruppuscolo fanaticamente inoffensivo.
Dopo quella chiacchierata, pensai che la cosa non era più così divertente.
Mi ricordo che mi chiamarono al cellulare molte volte, prima inventai scuse molto discutibili, poi non risposi nemmeno più. Continuarono a chiamarmi per un po’, alla fine per fortuna si stancarono.

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