venerdì 3 giugno 2011

Contro i mobilifici


"Le persone sono venute dopo un tam tam su internet" dicono i giornalisti con il loro lessico standardizzato.
Si sono riunite fuori dallo stabilimento per entrare e razziare quello che è rimasto, alcuni sono arrivati con dei furgoncini per stipare meglio poltrone, tavolini, armadi;
complementi d'arredo avrebbero detto gli architetti con cui si cenava il sabato prima dei proverbiali fuochi d'artificio.
Il mobilificio Aiazzone è fallito ed i clienti, che hanno già pagato rate e stipulato finanziamenti, cercano di risarcirsi i danni subiti.
La fabbrica di mobili negli anni '80 era celebre per i pellegrinaggi che partivano da ogni parte d'Italia.
Si arrivava a Biella come si andava a San Giovanni Rotondo per Padre Pio, ma nessuno provava a venderti delle pentole per il tragitto, tutto era finalizzato all'acquisto di un soggiorno o di una cucina.
Il tipo delle telepromozioni si chiamava Guido Angeli ed era diventato famoso per il suo tono eccessivamente suadente, da cantante confidenziale, anche la pettinatura ricordava Fred Bongusto.
Concludeva ogni monologo con uno slogan semplice semplice, accompagnato da un gesto inequivocabile delle mani: provare per credere.
Divenne talmente popolare che ottenne un programma televisivo vero, come conduttore, su Rete 4.
Aiazzone era il modello, per eccellenza e all'ennesima potenza, del tipico mobilificio pre-Ikea.
Quello che promuoveva armadi a due ante in misterioso legno massello, quello che prometteva concerti e majorettes negli spot da televisione locale che dovevano sempre e comunque illustrare una dubbia solidità:
solidità contabile dei bilanci, solidità morale dei proprietari, e di conseguenza solidità degli oggetti venduti.
In una pubblicità di un mobilificio delle mie parti le immagini mostrano un vecchio con i capelli bianchi alla guida di una auto supersportiva, in sottofondo la voce dello speaker dice: "Da quando ero giovane, ho fatto tutto per inseguire un sogno e oggi l'ho realizzato".
Lo speaker parla in prima persona, fa le veci del proprietario muto che non ha diritto di parola come Giovanni Rana o Francesco Amadori, e deve accettare di essere interpretato da una voce impostata e teatrale.
Lo speaker comunica le aspirazioni e i desideri realizzati dal vecchio, quindi dice che l'obiettivo dell'attempato benestante è sempre stata una astrattissima e arcana "qualità totale".
Alla fine dello spot, solo apparentemente incongrua, c'è l'immagine di un elicottero che atterra sullo spiazzale antistante il mobilificio.
La qualità totale mi fa venire in mente il Milan di Sacchi e d'altronde proprio in elicottero Berlusconi arrivò a Milanello per il raduno della squadra, all'epoca fu un colpo di scena.
L'elicottero come mezzo veloce da imprenditore che deve bruciare le tappe e non ha tempo da perdere.
Il fondatore Giorgio Aiazzone morì proprio in un incidente con il suo elicottero nel 1986. Era all'apice del suo successo, la sua veglia funebre più vera fu una interminabile telepromozione condotta da Angeli, uno spot estremo in cui amici e dipendenti raccontavano le qualità del capo fra musiche tristi e lampi di speranza aziendale.
Nella mia città i mobilifici erano tutti nella statale che portava fuori città, non ho mai capito perché fossero sempre insediati in palazzi di cemento orrendi, tinteggiati male, con propaggini architettoniche che si estendevano come escrescenze malate da ogni lato.
I divani erano uno accanto all'altro con le loro tappezzerie vistose.
Le esposizioni di mobili erano orientate al gusto medio del cliente, ancora ignaro della democratizzazione forzata del gusto che gli sarebbe stata impartita dall'Ikea.
Alcuni di questi mobilifici si incendiavano per ragioni vaghe collegate alla malavita organizzata e fallivano di colpo quando meno te l'aspettavi; quando li trovo ancora aperti e in attività resto sempre un po' sorpreso.
Sono cresciuto fra mamme e zie con la passione per l'antiquariato e per i tappeti persiani: vecchie scrivanie Luigi qualcosa che incutevano soggezione, tavoli Ottocento inglese che non servivano per scrivere, mangiare e far di conto, ma come fenomeni estetici a sé stanti.
Il gusto per il soprammobile riempiva le nostre case di oggetti in ceramica raffiguranti animali di ogni forma e dimensione, di argenteria da lucidare che mia madre chiamava silver.
Da allora sono diventato allergico ad ogni tipo di soprammobile,ho dovuto lottare per anni contro le anatre che mia madre mi piazzava ovunque, quando veniva in visita a Roma.
C'è voluto del tempo per liberarmi di ogni ninnolo e riuscire a dare una personalità minima alla mia abitazione, grazie all'affissione di poster che rappresentano in maniera approssimativa le mie passioni, ma sono ancora molto lontano dall'essere soddisfatto.
So cosa mi serve per cambiare la mia casa ma non riesco a intraprendere le mosse giuste per sistemarla davvero, come se fossi afflitto da un invincibile pigrizia.
Faccio un po' lo stesso con la mia vita.

Avrei bisogno di un consulente, come quelli che offriva Aiazzone per sistemare al meglio gli spazi male utilizzati.
Il mio soggiorno, ad esempio, è una zona di passaggio, un confine confuso fra il mondo esterno e la mia camera da letto disadorna.
Al centro un tavolo di legno anni '30 comprato da mia madre a Porta Portese, vicino a una parete un brutto buffet massiccio, lascito di un'eredità familiare.
Mi mancano delle mensole alle pareti per i miei libri, delle luci che irradino buone vibrazioni, necessito urgentemente di un divano ad angolo.
Anche M. se ne rese conto, prese alcune misure e mi suggerì delle soluzioni, vantando qualche credito per essere stata anni con un architetto.
Andammo assieme all'Ikea, si segnò a matita un po' di cose che avrei potuto comprare per il futuro, nel frattempo scegliemmo alcuni oggetti per la provvisorietà del presente:
lenzuola coordinate a tinte allegre per fare l'amore, candele da dispiegare in bagno e soggiorno per rendere l'atmosfera più gradevole agli amici che sarebbero venuti a cena, una tovaglia per il tavolo del soggiorno, qualche bicchiere per la cucina.

Quando arrivai a Buenos Aires non potei dissimulare la mia delusione: il suo appartamento aveva le pareti quasi del tutto spoglie, gli ambienti erano stati messi su in economia e con tanti piccoli difetti che lei faceva finta di ignorare.
Il suo architetto le aveva regalato la cucina e a lei sembrava una cosa normale farsi offrire pezzi di casa.
Comprava tavolini scalcagnati dall'E-bay argentino e le sembravano acquisti degni di encomio, ne andava fiera, rimediava pianali in legno da falegnamerie per mettere a posto dei mobili traballanti e si inebriava per piccoli insignificanti oggetti.
Insistette per allargare l'armadio a muro in camera da letto, in modo che avremmo avuto abbastanza spazio per i vestiti di tutti e due.
Era la sua maniera di dichiarare che si trattava di una relazione molto seria.

Ora guardo il mio tavolo in soggiorno ingombro di oggetti senza scopo, per un po' lo libererò, poi torneranno a crescerci sopra come erba cattiva; il ripiano del buffet lo uso come deposito di carte che faccio fatica a ordinare; sul pavimento lo stereo e le vecchie casse che funzionano a intermittenza: hanno un problema di contatti elettrici o sono solo stanche, come me.

Penso che dovrei sbrigarmi ad andare all'Ikea.

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