sabato 11 giugno 2011

Contro i Mondiali



In Argentina è molto facile vedere delle persone con magliette blu con su scritto Italia.
Le vedi per le strade, in metro, dentro le palestre, le esibiscono con un certo orgoglio ragazzi che non sanno una parola di italiano.
Non sono magliette originali della nazionale, sono quelle che di solito vendono a Roma certi chioschi spacciatori di souvenir.
Anche M. ovviamente ne aveva una e me la prestava perché non le andava bene, mi incitava a indossarla per qualche oscura ragione ma io, essendo davvero italiano, mi vergognavo di mettermela fuori casa.
La usavo solo per dormire.
A Buenos Aires tutti fanno tutto per sembrare più italiani di quanto siano, ma nello stesso tempo contraddittoriamente ci prendono in giro per la semifinale di Coppa del Mondo persa ai rigori nel 1990.
C’è una frase che ti dicono sempre, uomini e donne, appena capiscono da dove vieni.
“Siamo fuori dalla coppa” è la frase, la pronunciano usando un tono caricaturalmente lamentoso, sono sempre convinti che gli italiani siano melodrammatici, hanno i loro motivi per crederlo.
Non so se Bruno Pizzul disse così, non mi pare; Pizzul era il telecronista delle partite dell’Italia e molti ritenevano che portasse sfiga.
Io non vidi la partita in televisione, ero proprio allo stadio San Paolo di Napoli, settore distinti.
Piansi quando Serena si fece parare l’ultimo rigore; Maradona, alla vigilia, aveva detto che Napoli non si meritava l’Italia, come se lui da solo valesse più degli eroi del Risorgimento.
Era furbo Diego e riuscì a ottenere l’appoggio di una piccola parte della tifoseria partenopea, la cosa mi faceva imbufalire,
già all’epoca ero garibaldino.
Dopo la sconfitta urlai contro un gruppo di argentini seduti vicino a me, avevo quattordici anni, un poliziotto chiese a mio padre di farmi stare calmo.
Lo disse con un mezzo sorriso, non mi prendeva sul serio e aveva ragione.
Era solo un raptus isterico, mi calmai subito e mi sentii anche in colpa per aver perso l’aplomb del mio modello Platini.
Avevo già visto un’Italia-Argentina dal vivo, otto anni prima, erano i Mondiali di Spagna ‘82, avevo sei anni e mi ricordo dettagli confusi di quella esperienza.
L’amico folle dei miei che si agitava vicino alle transenne, con un cappello da messicano, gridando contemporaneamente in tre lingue straniere senza saperne nemmeno una.
Il Sarria di Barcellona: un piccolo stadio oppresso dal calore umido di luglio, in cui il pubblico non aveva ancora acquisito il diritto esclusivo alla poltroncina.
Vidi parte della sfida in braccia a un brasiliano che tifava Italia, sia per la tradizionale rivalità contro l’Argentina campione del mondo in carica, sia perché i loro tifosi erano convinti che l’Italia fosse più debole.
Se ne sarebbero amaramente pentiti pochi giorni dopo quando li sconfiggemmo 3 a 2 con tripletta di Paolo Rossi.
Sono sempre stato un fanatico dei Mondiali di Calcio, sono uno di quelli che, prima del loro inizio, appende in camera da letto un tabellone con il calendario delle partite per poi compilarlo.
Nel 1990 tenni addirittura un quaderno in cui scrivevo la cronaca di ogni sfida, dando perfino i voti ai giocatori, mi ricordo bene gli 8 al portiere della Costarica Conejo.
Ricordo perfettamente anche dove mi trovavo in ogni finale dei mondiali, dal 1982 in poi.
Nel 2002, finale Brasile-Germania, ero a Milano, si giocava a ora di pranzo, ero a casa di V, la madre era in cucina, noi due guardavamo la partita senza entusiasmo.

Pensavo alle due sfide Italia-Argentina quando mi accingevo a incontrare M.
Dovevamo vederci per la prima volta e quel giorno c’era Italia-Slovacchia, l‘ultima partita del nostro girone ai Mondiali Sudafrica 2010.
Le proposi di vederla assieme a Villa Borghese dove avevano installato un maxi schermo in cui andavo appena potevo, lei sorprendentemente acconsentì.
Mi piaceva andare a Villa Borghese dove stranieri, in bermuda e con bottigliette di acqua,  si stendevano sull’erba a guardare qualsiasi cosa passassero, qualcuno dormiva per quarti d’ora interi facendosi cullare dal suono delle vuvuzuela.
Il bello dei mondiali è che ogni partita ha senso: 
Costarica- Uruguay come Iran-Bolivia.

Andai a prendere M. alla Bocca della Verità e non ne ebbi una grande impressione, a volte non mi accorgo proprio della bellezza.
Lei d’altronde faceva di tutto per occultarla: portava un berretto bianco per difendere la sua pelle siberiana dal sole mediterraneo ed era leggermente ingobbita da una certa timidezza.
Aveva qualcosa nello sguardo o nel naso che mi ricordava Javier Zanetti, risi molto quando seppi che il soprannome del suo ex era Cambiasso; quando vidi meglio il suo volto quella idea mi sembrò una pura follia.
Vedemmo la partita sotto il sole delle tre del pomeriggio e a lei chiaramente non interessava il calcio, così ogni tanto mi sentivo in dovere di parlarle ma cercavo di restare concentrato sullo schermo. 
Non avevo il minimo sospetto di quello che sarebbe accaduto.
La partita prese la peggiore piega possibile, l’Italia finì per perderla  e uscire dal Mondiale.
La portai a mangiare un gelato come promesso.
Il gelato più lungo della mia vita: restammo ore seduti sulla panchina mentre centinaia di gusti dei passanti si scioglievano al sole del giugno romano.
Poi  andammo a cena, il mio amico Davide, con cui avevo visto la finale dei Mondiali quattro anni prima, mi mandò un messaggio per commentare la umiliazione subita.
A casa sua,  nel 2006, eravamo un sacco di persone, accanto a me c’era Ade: fu divertente e stancante, alla fine della partita non avevamo quasi la forza di festeggiare.
Risposi a Davide che ero a cena con una ragazza argentina, mi accennò alla sconfitta di Napoli del 1990, non avevo dubbi che l’avrebbe fatto.
La delusione per la uscita dal Mondiale era già completamente svanita.
Il giorno dopo la riportai di nuovo a Villa Borghese, di sera, con una coppia di miei amici.
Questa volta passammo quasi tutto il secondo tempo a parlare di argomenti fuori luogo, cose tipo come l’arte contemporanea sia completamente asservita alle regole del mercato.
Se bluffammo tutti e due, lo facemmo benissimo.
I Mondiali continuarono, io andavo da solo a Villa Borghese mentre lei era in Sicilia dal padre, le telefonavo prima di ogni partita, lei teneva sempre alto il tono della conversazione, anche se a volte le esigenze dell’innamoramento lo spingevano opportunamente in basso.
Eravamo assieme quando si giocò la finale del Mondiale Spagna-Olanda, stavamo sul divano e lei si annoiava, guardammo la prima mezzora, poi non resistetti alle sue provocazioni.
L’amore accadde lentamente, molto lentamente, finimmo da qualche parte. Quando tornammo, la partita era finita da un pezzo, malgrado fosse proseguita fino ai supplementari.
Non mi era mai capitato di perdermi una finale dei Mondiali.
Avevamo fame, andammo a mangiarci una pizza, lei aveva una dolcezza che non le apparteneva, che veniva dallo spazio forse.
Qualche giorno dopo mi disse che quella sera della finale aveva scelto.

5 commenti:

  1. E cioè avrebbe tifato l'Italia, non come quegli stronzi che popolavano il San Paolo quella sera del 1990. Non erano pochi, me l'ha confermato il titolare di La Piccola Napoli, ristorante a due passi da casa. E lui era tra loro. In migliaia a tifare contro Azeglio Vicini. Un po' triste Vicini, mica come Dieguito, tocca essere onesti. Dobbiamo ancora rifarci contro l'Argentina, ci penso ogni volta che arriva il mese di giugno. Ci rifaremo. Pagheranno tutto

    RispondiElimina
  2. beh riesci a vedere il calcio perfino nell'epilogo amoroso..beh lo trovo giusto

    RispondiElimina
  3. Ma dopo tutto avevo cercato di fartelo capire anche quel pomeriggio di giugno del 2010: mai fidarsi degli argentini. Con loro perdi sempre due volte. Ai rigori. Caro il mio ALDO Cammarano

    RispondiElimina
  4. mi sa che piu' che contro i mondiali, il titolo piu' appropriato sarebbe stato Contro l'Argentina 2.

    RispondiElimina
  5. ah sono fabio... da copenhagen...

    RispondiElimina