venerdì 10 giugno 2011

Contro il mio ombelico



Non sono ipocondriaco, ma ho avuto molti anni fa degli attacchi di ipocondria. 
Accadevano per motivi precisi, ad esempio a quattordici anni temevo di essermi preso l’AIDS a causa di una zanzara che si era misteriosamente suicidata sul mio collo, lasciandomi una macchia di sangue.
Mi ricordo di aver fatto ricerche assurde per appurare quanto sangue possa succhiare in una notte una zanzara e che raggio di azione possa avere.
Il rischio, secondo le mie stime, sarebbe aumentato se la zanzara fosse tornata da una missione nella discoteca di fronte alla nostra casa estiva, dove le possibilità che ci fossero sieropositivi erano superiori alla media.
Un altro di questi attacchi mi colpì a Milano molti anni fa quando mi lasciò V.
Mi sentivo debole, avevo le ghiandole ingrossate e poca voglia di uscire, ero solo blandamente depresso ma mi diagnosticai i peggiori mali possibili.
Alla fine decisi di andare dal mio medico che mi fece
una visita generica.
Disse cose vaghe, intuì la mia eccessiva preoccupazione cercando di spandere rassicurazioni da ogni espressione, ma alla fine piazzò un colpo ad effetto.
Mi stava guardando l’addome con attenzione quando mi accorsi che il suo sguardo si fissò sull’ombelico.
Qui devo fare una digressione.
Il mio ombelico è stranissimo, tutti sono strani ma il mio ne batte molti di sicuro, me lo hanno detto già troppe persone,  d’altronde lo conosco attraverso gli sguardi altrui perché io non lo guardo mai.
Sono una persona egocentrica, ma fuor di metafora il mio ombelico potrebbe anche non esistere.

Quando dici che una cosa è fatta in un certo modo dovresti farne una accurata descrizione ma io non ho questa qualità, come non riesco a usare molti termini nuovi perché quelli più comuni, spesso, sono anche i migliori e scrivere un sinonimo per dimostrare che si conoscono più parole mi sembra un’idiozia.
Il mio ombelico è strano, accettatelo come un assioma non dimostrabile.
M. è stata l’ultima a fissarlo e a parlarne, disse che era strano anche lei, in realtà voleva dire che era brutto e non posso certo darle torto.
Era una delle poche parti del corpo che mi avrebbe cambiato, ero appena reduce da una gara vinta contro il suo ex.
Sei a uno, l’ombelico non era un parametro degno di giudizio  e il suo ex mi aveva sconfitto solo sul culo, ma sono gare truccate, competizioni stupide da innamorati, si vincono sempre.
Fine divagazione, torniamo allo studio medico e al dottore che fissa il mio bizzarro ombelico in modo neutro, senza affetto, e poi dice quasi distrattamente che quel rigonfiamento leggero leggero appena sotto il bordo superiore è una minuscola ernia, pronunciando la parola senza enfasi.
Quando gli chiesi cosa dovessi fare, lui rispose niente, disse “Non devi toglierla, ma se un giorno ti dovesse fare malissimo, allora corri all’ospedale”.
Lo disse sorridendo, come telefonare a un’ambulanza nella notte fosse una cosa da ridere.
Rimasi in silenzio, senza chiedere ulteriori spiegazioni, dalla faccia sembrava quasi convinto che avrei dovuto già sapere della presunta ernia, esserci abituato da tempo.
Nessuno mi ha mai più ripetuto la folle diagnosi dell’ombelico ed io son convinto che quel medico fosse completamente fuori di testa o stesse seguendo una sua stramba strategia, come se cambiando discorso mi avesse voluto far passare completamente ogni altra paura immotivata.
In realtà la paura svanì da sola quando mi rimisi a vivere, non ricordo più in che modo.
Dissi a M. la storia del medico risparmiandole la mia ipocondria passeggera, dovevo mostrarmi sempre più forte di quel che ero, ogni fragilità per lei era un limite.
Si adombrò un paio di volte che le confessai al telefono di essere un po’ giù, voleva sempre essere la parte debole.
Pensava che fossi la sua ancora, mi considerava solido, a volte ho il sospetto che cercasse minerali stabili e non esseri umani; io non sono affatto solido come pensava e non sono bravo a  tranquillizzare le persone, mi piace allarmarle piuttosto, tenerle sveglie.

Non sono come il medico di famiglia di quando ero bambino: non era bravo, ma sapeva bene come rassicurare. Assomigliava al Sordi de Il Medico della mutua, al Dottor Tersili.
Parolaio, chiacchierone, non prendeva posizioni definite, era il prototipo del medico generico, quando la situazione era più ingarbugliata sapeva che specialista consigliarti,  cercava di compensare la sua scarsa scienza con la capacità nei rapporti interpersonali e una presunta simpatia.
Una volta mio padre aveva avuto un abbassamento di pressione, una specie di collasso, era svenuto a causa di  un farmaco che aveva preso senza che ne avesse avuto bisogno.
Quando era tornato a casa dal pronto soccorso, il nostro medico  venne a visitarlo, gli misurò la pressione per puro dovere professionale e poi  gli disse di mettersi comodo sulla sua poltrona preferita, di vedere la televisione bevendosi un bicchiere di whisky.
Mio padre è astemio, ma il medico se n’era dimenticato oppure era attratto da questa visione molto hollywoodiana e molto rassicurante della degenza con un whisky e del ghiaccio.
Mi ricordo che quell’immagine mi fece passare ogni preoccupazione all’istante: ogni timore per mio padre, per gli altri, per me stesso.
Si poteva scampare a tutto, pensai.

1 commento: