martedì 26 aprile 2011

Contro la provincia

Prendersela con la propria città è come attaccare se stessi, non è mai facile.
Per i maestri se vedi qualcosa di negativo è il riflesso di qualcosa che è dentro di te.
Eppure come fai a non criticare una domenica mattina di Pasqua nella tua città di origine, con la gente di ritorno e i residenti fissi che camminano con il pacchetto dei dolci in mano, alcuni addirittura di ritorno dalla messa domenicale?

I conoscenti occasionali ti chiedono quando sei venuto e quando riparti, domandano della tua vita senza entusiasmo, per correttezza tipicamente provinciale.
Giudico l’abbigliamento come indicatore del declino estetico.
Felpe con marchi vistosi, camicie a righine dozzinali, giacche che inseguono un eleganza a loro irraggiungibile.

Spero di evitare gli scocciatori, non riesco a godermi il sole nè la bellezza dei portici, prometto di tornarci dopo pranzo.
Forse dipende dal fatto che conosci le abitudini, sei troppo consapevole di tutto, quando sei in un altro posto puoi illuderti che ci siano cose interessanti.

Prima c’era la provincia diversa dalla città, ristretta, chiusa a volte, ma differente, c’erano cose che in città non si trovavano.
Ora la provincia è solo la brutta copia della città, una parodia, uno scimmiottamento.
È buona per ambientarci la cronaca nera dei giornali.

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