venerdì 22 aprile 2011

Contro Milano 2


Molti anni fa ho lavorato per pochi mesi a Milano 2, ci arrivavo con un autobus ed a volte scendevo una fermata prima per percorrere a piedi il breve tratto di strada fino al mio posto di lavoro.
Passavo sotto dei portici vuoti a qualsiasi ora del giorno, con negozi dalle vetrine lussuose che apparentemente non vendevano niente a nessuno. Ogni tanto ci passeggiavano ragazze giovani e belle con carrozzine e figli piccoli.
Di lato, sotto dei tendoni, c’erano piscine riscaldate e si sentiva sempre il rumore di una pallina di tennis, c’era sempre qualcuno che giocava a tennis, a qualsiasi ora ci passavi.

Un mio amico mi disse una volta di essersi perso a Milano 2 e di aver avuto paura.

Milano 2 è una specie di Venezia in cemento armato, ci sono questi ponti rossi che servono a unire i due lati delle varie residenze, si chiamano così. Residenze archi, residenze portici eccetera.
Ci sono un sacco di prati e un laghetto e dei cigni, eppure a volte mi sentivo così giù a vedere queste cose che avrei avuto bisogno di guardare una bella ciminiera, di godermi il panorama di una fabbrica.
Era tutto talmente falso che perfino il vecchietto seduto su una panchina vicino al laghetto sembrava di cartapesta: una comparsa.
C’erano un sacco di vecchi che provavano a mantenersi in forma, convinti che il fatto di essere in un posto tanto verde e appena fuori dalla città li mettesse al riparo da infarti e malattie degenerative di varia entità.
Andavano girando sempre in tuta e marciavano o corricchiavano in pieno inverno. Erano tante copie sbiadite di Raimondo Vianello in casa Vianello e gli appartamenti me li immaginavo tutti come quelli della sit-com, stesso scalino per entrare in sala, stesse belle lampade, stesso scrittoio di legno, stessa cucina spaziosa.
Ci dovete andate a Milano 2 se passate da Milano, andate a farci una visita turistica, portatevi le macchine fotografiche.
Per entrare in azienda passavo per uno stretto corridoio ricavato sotto delle impalcature, vedevo dalle vetrate i giornalisti annoiati e senza nessun tipo di privacy, tutti nello stesso stanzone per preparare le edizioni dei telegiornali.
Mi fermavo sempre a vedere i desktop che ognuno usava sul suo computer, ognuno cercava di condensare disperatamente una sua identità, c’era anche una specie di cucina e un grande frigo.

Quando mi capitava di uscire tardi avevo l’impressione che non ci fosse più nessuno, anche nelle case illuminate da lampade a stelo  dal design costoso.
Mi sentivo l’unica persona completamente viva nell’arco di diversi chilometri quadrati e questo fin quando non capisco che poi tanto vivo non lo ero nemmeno io.
Di solito in casi del genere invece di aspettare la navetta che mi portava alla metro facevo un giro per i portici e mi fermavo a guardare i poliziotti privati.
Erano lì per controllare che la notte ridiventasse giorno  e ci fosse qualche ragione perché il tempo continuasse a scorrere in avanti.
Io non ne vedo.


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