martedì 17 maggio 2011

Contro il cane Muttley


Avete presente Muttley, il cane sghignazzante della Corsa Più pazza del mondo?
Io rido come lui.
Me l’hanno detto varie persone, ma la prima è stata Ade; stavamo assieme da poco e mi fece comprare una maglietta con sopra il cane del cartone che si mette la mano davanti alla bocca.
Non l’ho mai messa in pubblico: è di quelle troppo elasticizzate, il mio fisico non me lo permette.
Perché stai ridendo? Troppe volte sono stato redarguito per questa stupida domanda, ma la continuo a fare.
Non c’e domanda peggiore, mi rispondono: sono felice, non ti basta, perché vuoi saperne il motivo?
Voglio sapere sempre tutto, cerco la trasparenza ad ogni costo, forse perché sono opaco e reticente.
M. mi conquistò ridendo per una mia affermazione.
Le avevo detto, con il massimo della serietà possibile, senza crederci nemmeno un po’: per conoscermi davvero dovresti leggere un libro di Sartre.
Lo avevo detto con il tono compiaciuto dell’intellettuale pigro, dandomi arie da Moravia, lo avevo detto steso a letto, di notte.
Lei aveva riso prepotentemente, ma non subito; aveva aspettato due o tre secondi, lo aveva fatto con i tempi giusti, ed avevo capito che non era una con cui si poteva barare.
Non mi piacciono le persone che puoi manipolare con facilità.
Ridemmo di pancia, e non di mente.
Abbiamo riso altre volte, ma quando ridi troppo all’inizio, dopo diventa dura.
Mi devi far ridere sempre, diceva, non dimenticarlo mai, ne ho bisogno.

Mi piace tanto quando ridi, mi diceva, ma non la tua risata sghignazzante, mentale, sarcastica, un po’ buffa; non quella del cane, mi piace quella che fai quando ridi davvero.
“Perchè piangi?” non ho avuto modo di chiederglielo. Non sapeva cosa fossero le lacrime.

Aveva piccole cicatrici sparse sulle braccia, me ne ero accorto con una settimana di ritardo, portava la sofferenza come le sue giacche stilose, con grazia, cercando di non farla notare.
Le sue giacche, ora, sono anche le mie; le cicatrici no, quelle non sono riuscite a condividerle abbastanza.
Non pianse nemmeno quando si straziò l’anima in lingua originale. 
Silenzi e voce rotta, avrei dovuto farle qualche domanda supplementare, ma non le piaceva essere interrogata, alla terza domanda diventava impaziente. Non voleva dare spiegazioni e ogni mattina era di malumore, era un dolore da cui dovevo rimanere distante.
Le sue azioni da brava ragazza innamorata non le appartenevano,  così come i suoi progetti di una vita tranquilla con due case, un paio di figli, e un buon reddito utile per cenare nei ristoranti segnalati dalle guide.

Era una ragazza perduta e provava disperatamente a dimenticarlo, era una potenziale depressa, una ipotetica drogata, una mancata prostituta, lo avrebbe potuto diventare; il fatto di essersi salvata, di aver imboccato un'altra strada, non significava che la cosa non l’avesse segnata.
Averla conosciuta era come avere conosciuto la parte più oscura di me: quella nascosta sotto la mia allegra inflessione dialettale, sotto il mio sorriso contagioso, sotto le mie battute ciniche e sdramatizzanti, sotto il parlare torrenziale che uso per zittire il silenzio.
Sotto il riso chiassoso del cane Muttley.

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