mercoledì 25 maggio 2011

Contro Superman



Ci sono quelli che cercano vecchie piccole cose in rete per provare quel sentimento mieloso che è la nostalgia.
Da non confondere con la malinconia; la malinconia è totale, completa, non ha a che vedere con il tempo, è fuori dal tempo.
Cercano spot, ascoltano vecchie canzoni, aspirano a un come eravamo infantile, alla Fabio Fazio.
E poi ci sono quelli che cercano per trovare altro; guardando uno spot vecchio puoi capire tante cose sulle persone, sui loro sogni soprattutto.
A volte perfino su te stesso ma devi andarci piano, senza aspettarti niente.
Così capita che sono qui a girare disperatamente su internet alla caccia di una vecchia pubblicità.
Non ricordo il claim, non ricordo la marca, so solo che è una marca di profumo e nemmeno tra le più famose. Non riesco a trovarla, e così mi resta in testa la colonna sonora e un effetto audio: un bip.

La colonna sonora è basata fondamentalmente su un sassofono.
Il sax è anni ’80 (mi ricordo le copertine dei dischi di Fausto Papetti con sopra foto di donne nude, preferibilmente meticce; le scoprii, per la prima volta, a casa di mio zio, tutti avevano uno zio che li comprava), i suoi assolo servivano a trasformare una canzone pop nella canzone pop perfetta.
Per colpa di tutti quegli assolo ascoltati da bambino, il sassofono divenne il mio strumento musicale preferito, e quindi mai suonato.
Nella pubblicità una donna in piedi apre le tendine, quelle bianche che si chiamavano veneziane, e permettevano ai direttori della fotografia di giocare con il controluce.
È mattina presto, è in sottoveste, recupera i suoi vestiti, lasciati su una sedia costosa e sul pavimento.
Indossa un tailleur, forse giallo, si mette collant e tacchi,  è bella: una tipica modella da pubblicità anni ’80, donne così non ne hanno fatte più.
Sta andando al lavoro: è un impiegata in carriera, una avvocatessa rapace, una segretaria ambiziosa.
Un uomo dorme steso, con il lenzuolo a tenere scoperta la fascia degli addominali e i pettorali; lei si veste piano per non svegliarlo.
Non ricordo il montaggio, mi mancano particolari e inquadrature, ma l’atmosfera la percepivo bene già allora: 
il sesso resta impresso anche a un bambino di dieci anni.
Il sesso per me era quello: la mattina e una donna che non ti sveglia, l’energia prosciugata, la scena patinata.
Il bambino di 10 anni comprende il prima e il dopo, crescendo darà importanza al durante, fin quando non capirà improvvisamente che contano di più il prima e il dopo.
Tanta fatica per tornare al punto di partenza: è sempre così.
Nello spot, a questo punto, c’è un ellisse. La donna esce, si sente la porta chiudersi e dopo poco parte un bip, inserito nella colonna sonora con un mix audio leggeremente scorretto. Scatta una ingombrante segreteria telefonica, all’epoca segno distintivo da yuppie, è lei che lascia un messaggio.
Non ricordo le parole ma è una specie di sveglia lussuriosa, una gratificazione virile.
Fa una domanda del tipo stai ancora dormendo?  Non sono una coppia, non vivono assieme, non sono fidanzati.
Sesso occasionale.
L’uomo apre gli occhi, fa un sorriso compiaciuto, dettaglio sul flacone di profumo.
Due o tre anni, e sarebbe arrivato un opuscolo che spiegava cosa era l’Aids.
Era estate, lo portò mio padre nella nostra casa a mare, ne parlavano tutti, qualcuno insinuava che il contagio avveniva con la saliva, bastava un bacio; l’opuscolo non tranqulllizava come avrebbe voluto, i complottisti trionfarono per qualche mese.
Lo Stato rispose seminando paura, come era consueto in anni da guerra fredda, in tv passarono una pubblicità progresso contro l’Aids: c’era un tizio che tradiva la moglie con una collega d’ ufficio.
La collega era provocante come quella dello spot del profumo, rideva in modo eccessivo seduta alla scrivania e aveva attorno un alone viola, simbolo iconico della malattia.
La colonna sonora era elettronica, con vocalizzi da sintetizzatore ansiogeno.
I due andavano a scopare in auto nel garage aziendale. L’uomo tornava a casa con il Corriere sotto il braccio e l’ alone viola attorno al corpo; la moglie lo aspettava a braccia aperte, in gonna lunga, castigata, con un sorriso onesto, borghese.
Lo speaker, con una voce piattamente allarmante, diceva che era rischioso cambiare troppo spesso partner ed erano sconsigliati i rapporti occasionali.
Nell’ultima scena si vedono moglie e marito camminare su un marciapiede affollato, tutti e due racchiusi nello stesso alone viola coniugale; fra la folla, qua e là, avevano aggiunto in postproduzione altri aloni.
Il preservativo si vedeva solo alla fine, come ultimo, parziale, e quindi inefficace, baluardo: era bianco, ospedaliero, serviva solo a ridurre il rischio.

Avevo tredici anni e tutto il mio immaginario sessuale cadde in frantumi.
Tutto per colpa di troppa sollecitudine statale, delle pubblicità progresso finite nelle mani sbagliate, come quasi sempre accade, anche oggi.
Vado su You Tube e mi guardo per l’essesima volta lo spot degli aloni. 
Scopro che quella musica così angosciante era di Laurie Anderson.
Il titolo è O Superman.

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