domenica 15 maggio 2011

Contro le professoresse d'italiano


Sono sempre stato il cocco di tutte le mie professoresse d’italiano.
Alle elementari ero già abbastanza maturo da conoscere cose che i miei compagni ignoravano. Diversi anni dopo, incontrando delle mie ex compagne di scuola, scoprii che mi consideravano una specie di disadattato, forse perché parlavo di comunità europea e di organismi internazionali.
All’epoca leggevo quasi regolarmente dei quotidiani, ero davvero stupido a pensarci ora, e scrivevo temi informati che conquistavano la mia suora.
Uno di questi vinse, fra non so quanti altri, una competizione e fu allegato ad una colletta  di beneficenza per i terremotati del Messico nel 1986. Chissà che diavolo ne hanno fatto del mio tema; per anni mi sono immaginato professori che lo leggevano, tradotto, a alunni attenti e stupiti dal linguaggio di quell’italiano, o magari gli stessi bambini erano costretti a impararlo a memoria ed a ripeterlo il giorno successivo.
È colpa di quella vittoria se, da allora, mi costruii un ego spropositato che cerco di soffocare e controllare.
Alle scuole medie ero più integrato. Usavo le mie capacità per scrivere giornali di classe satirici, insomma mi ero dato alla comicità, e facendo ridere mi guadagnavo un ruolo; nei temi invece ero moraleggiante. Ero bravo a scrivere ed a fare la morale, e la mia professoressa cattolica era contenta dei miei messaggi sui valori e su principi; continuavo a fregare tutti.
Scusi signora Manzi per quei finali troppo moralistici, che riteneva sinceri fino in fondo. Avevo imparato cosa fare per prendermi un bel voto e colpire al cuore un adulto, consapevole del suo ruolo educativo.
Però, a pensarci, è colpa sua, involontaria certo, se ho iniziato ad apprendere come mentire, come essere ipocrita.
Al liceo, iniziai a citare della musica pop: Imagine, Blowin in the Wind, eccetera, per concludere i miei temi sulla pace, sul razzismo e così via; dimostravo di saper alleggerire argomenti seri con messaggi semplici ed innocui, in cui incontravo i gusti della mia professoressa quarantenne: una professoressa pop in fondo.
Mi scusi se ho finto di aver letto un libro noiosissimo che si chiamava Un dio simpatico,  me lo aveva dato un estate, convinta che stessi diventando ateo. Era scritto dalla figlia di Aldo Moro: una specie di invasata che aveva cambiato in pochi anni tutti i partiti, passando dall’estrema destra all’estrema sinistra o il contrario, non ricordo.
A settembre del secondo anno ne feci una recensione perfetta dopo aver letto soltanto la quarta di copertina e divagando, parlando di cose fuori tema, ma in fondo con Dio non si va mai fuori tema. Parlai di cose che la professoressa certamente avrebbe voluto ascoltare, cose che dimostravano una mia completa redenzione.
L’aspetto divertente fu che, all’inizio del secondo anno, la nostra professoressa era splendidamente irriconoscibile.
Aveva completamente cambiato look: via gli occhiali dalla montatura  segretariale e al loro posto delle lenti a contatto, la pettinatura era diventata aggressiva, e al posto della gonna lunga si era presentata con una minigonna aderente.
Mi trovai così a recitare la mia parte di redento e recensore con il cazzo duro, vittima di una strepitosa erezione da quattordicenne.
Parlavo di un dio simpatico mentre avrei voluto sbattermi la professoressa sulla cattedra; è stata la prima donna, in carne ed ossa, su cui mi sono masturbato.
Provavo un immenso piacere quando restituiva i compiti, e con un sorriso, me lo consegnava. Non scendevo mai sotto il 7,5 e c’erano sempre giudizi lusinghieri sulle mie proprietà di linguaggio, sulla profondità dei miei giudizi e delle mie analisi.
Elogi, minigonna ed erezioni da quindicenne: com’era facile la vita in quei giorni.
É colpa sua, professoressa Rocco, se ho conosciuto la tortura deliziosa del sesso solipstico.
Al triennio la professoressa era anziana, niente più erezioni, in cambio l’apprezzamento intellettuale divenne più profondo; crescevo e la politica si insinuava nei miei temi in modo ingenuo, ma convinto.
A volte attiravo l’antipatia di qualche compagno, ma succedeva raramente. Le mie capacità in italiano erano assodate come le mie incapacità nelle materie scientifiche; i miei quattro in matematica e fisica erano salutari, mi mettevano in pari con il mondo. Una volta un mio compagno ebbe cinque, i suoi periodi erano stati definiti lunghi e tortuosi.
Conoscendo i miei temi, letti per cercare di capire il segreto della mia bravura, aveva contestato vigliaccamente che anche i miei temi contenevano periodi lunghi.
La professoressa rispose che era vero, ma che erano ben gestiti.
Ero in grado di fare periodi lunghi ed efficaci, in grado di esser compresi, cosa di cui non tutti erano capaci: era il più bell’elogio che avessi mai avuto e il mio ego esplose.
È colpa sua se non ho mai imparato bene l’uso della punteggiatura, se sono così pigro e devo sforzarmi per sgrezzare quello che scrivo, ho troppa fiducia di riuscire sempre a cavarmela.

Ora scrivo meglio, cerco di essere più coinciso e secco, ma ancora oggi mi capita di fare dei periodi lunghi.
Spero di riuscire sempre a controllarli.

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