venerdì 6 maggio 2011

Contro l'insonnia

Qualche anno fa passavo intere notti nel mio letto stanchissimo senza poter chiudere un occhio. Nessun nervosismo così esagerato da starmene  a girare in tondo per la camera, nessuna capacità di attenzione minima per guardare la televisione o tanto meno leggere un libro; non facevo altro che stare sul letto e vegetare.
Sentirmi respirare, sentire piccoli e vaghi dolori nelle articolazioni, sentire pulsare sangue nelle piccole arterie delle gambe e  del collo. Sentire che da un momento all’altro potevo non esserci più, mancare a me stesso di colpo.
Non facevo altro che questo, non riuscivo quasi a pensare a niente, pensavo soltanto al fatto di non riuscire a dormire.
Non pensavo alla mia vita, niente di tutto questo, la mia crisi dei trent’anni la ebbi a 28. A 28 anni avevo avuto la netta sensazione che il tempo non fosse più dalla mia parte, che avesse cambiato maglietta nell’intervallo, ora sono già dentro il cappio e non mi lamento per questo.
A 28 anni ebbi la mia crisi quando alla tv sentii un commentatore di calcio dire che un mio coetaneo aveva raggiunto la sua maturità completa, il telecronista sosteneva che stava per firmare l’ultimo contratto importante della sua carriera.
Mi venne il panico, ero all’ultimo contratto.
Ho sempre misurato la mia età con quella dei calciatori, fin da quando ero bambino ragionavo per classi: io sono del 1976, quel calciatore è nato nel 1968 e via così.
Quando avevo 14 anni guardavo i calciatori e pensavo che erano uomini, mentre io ero ancora un ragazzo.
A 18 anni gente della mia età iniziava ad esordire e a fare gol in primavera, a 21 i miei coetanei erano giovani promesse, a 24 erano già titolari ma avevano ancora anni e contratti e nuove squadre davanti a loro, a 28 già si parlava di ultimo contratto della carriera, avevo il terrore di raggiungere l’età in cui i miei coetanei erano costretti a ritirarsi.
Cercavo quindi di addormentarmi con il mio solito stupido metodo.
La notte, invece di contare le pecore, quando non riuscivo a dormire, pensavo al calcio.
Pensavo alle trattative di mercato, se eravamo in un periodo in cui non si stava giocando, oppure alle partite se eravamo nel pieno della stagione agonistica.
Pensavo alle schede che fanno le trasmissioni sportive sulle percentuali che un giocatore sia acquistato dall’ una o l’altra squadra, alle formazioni molto ipotetiche presentate dalle tv locali per attrarre i tifosi accaldati che vagavano da un canale all’altro nella scadente offerta televisiva d’inizio estate.
Pensavo ad azioni di calcio immaginarie, scambi geometrici a centrocampo, sovrapposizioni sulle fasce.
Calcio immaginato, partite virtuali, con i tempi morti, le azioni che non vanno a buon fine, i tiri velleitari, i falli di ostruzione a centrocampo, i ponti sugli stacchi aerei.
Non solo le parate, i legni, le reti le azioni che mi immaginavo erano normali azioni di gioco, non highlights, e le partite incontri di europei e mondiali che si svolgevano in anni dispari e di cui nessuno avrebbe potuto mai comprare i diritti.
Niente, nemmeno questo funzionava.
Bevevo bicchieri d’acqua a andavo in bagno a pisciare, pisciavo un sacco, anche piccole quantità alla volta, come se potessi in qualche modo scaricare del veleno tramite i reni.
Per fortuna non soffro più d’insonnia, il che non vuol dire che sono completamente a posto.

Stamattina sul mio letto ho messo a posto la data del mio telefonino, era fissato non so per quale motivo sul 2 febbraio del 2001, digitando sopra l’anno si arriva fino al 2099, anno in cui il mio cellulare sarà un vecchissimo oggetto di modernariato ed io un mucchio d’ossa.
Sul mio cellulare la data la puoi far partire dal 1900, sono andato a vedere che giorno era l’8 settembre del 1943 e poi che giorno era quando sono nato io, quindi ho messo la data del 5 febbraio 2099. Sarà un lunedì anche allora.

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